Una Russia avviata verso l’estensione fino al 2036 del mandato presidenziale di Vladimir Putin è teatro di una feroce crociata ai Testimoni di Geova.
L’applicazione della legge anti-estremismo ai gruppi religiosi minoritari, definiti ostili ai dettami dei culti tradizionali, ha comportato nella Federazione russa un irrigidimento istituzionale della persecuzione e discriminazione anche dei Testimoni di Geova. La storia del movimento in Russia è contraddistinta sin dagli anni ’50 dall’ostilità tanto dei governi quanto dalla collettività. Estremismo della fede: così potremmo riassumere la motivazione che ha permesso sin dal 2009 alle autorità russe di sistematizzare l’odio diffuso nei confronti del gruppo.
Una storia di repressione
Condotti allo sterminio dei campi di concentramento da parte della Germania nazista, i Testimoni di Geova subirono la persecuzione stalinista. Gli anni ’50 segnarono una sistematizzazione della violenza contro gli aderenti al gruppo. Migliaia furono gli arresti, incarcerazioni e deportazioni per un gruppo accusato di non aderire al sistema sovietico. L’allentamento della ferocia istituzionale risalente agli anni ’60 comportò solo un timido miglioramento per la vita dei credenti. Fino al 1991 diversi sono stati i casi di processo, all’interno di un quadro di segregazione comune a tutti le comunità sovietiche. Solo a pochi mesi dalla caduta dell’URSS i Testimoni di Geova ottennero la piena libertà di culto.
Ritorno al passato (2009-2020)
A circa 20 anni dal primo riconoscimento ufficiale, una nuova ondata di violenza si è scagliata contro gli aderenti al movimento. Come testimoniato dal rapporto pubblicato sul sito della congregazione nel decennio 2009-2019 è ripresa in maniera sistematica l’azione repressiva nel Paese. L’applicazione della legge anti-estremismo sin dal 2016, e la conferma dello scioglimento dalla Cortes Suprema russa il 20 aprile del 2017, hanno determinato l’aumento di casi di denuncia e incarcerazione di persone accusate di pratica illegale del culto.
Con 746 abitazioni perquisite e 300 persone accusate di aver infranto l’articolo 282 del Codice Penale, dal Maggio del 2017 sono state 147 le persone incarcerate per “aver organizzato attività estremiste”. Di questi, al dicembre 2019, solo 103 sono i rilasci mentre 44 persone permangono in carcere. Numeri che continuano a crescere anche nei primi mesi del 2020, come segnalato da ANSA.
Dure sono ovviamente le reazioni di condanna da parte delle principali organizzazioni internazionali a difesa dei diritti umani. «Per i Testimoni di Geova in Russia praticare la propria fede significa mettere a rischio la propria libertà», queste le parole di Rachel Denber, vice-direttore della divisione Europa e Asia Centrale di Human Rights Watch (HRW), per sottolineare il periocolo ingiustificato subito dai fedeli. La persecuzione causa infatti in moltissimi casi la perdita della stabilità economica e sociale necessaria all’individuo in qualsiasi società.
La macchina repressiva basata su una rete investigativa per seguire e produrre materiale sui nomi sospettati di estremismo. I raid di perquisizione di appartamenti rientrano in quest’ottica. Connesse a queste attività avvengono inoltre gli interrogatori, contraddistinti da una dura pressione psicologica sugli arrestati. La Congregazione ha inoltre riportato vari casi di abuso e tortura. Il 10 febbraio 2020, Vadim Kucenko avrebbe subito violenza da parte di agenti di polizia con percosse e scariche elettriche.
Una minaccia alla libertà individuale
Nell’aprile del 2017 le Nazioni Unite definirono la sentenza della Corte suprema russa una minaccia alla libertà individuale non solo per i Testimoni di Geova ma per tutta la Federazione russa. Diversi sono i contenziosi internazionali aperti attorno alla repressione del movimento. La Corte Europea dei Diritti Umani citò nel 2010 la Russia per la violazione della Convenzione Europea a seguito della chiusura del ramo moscovita della Congregazione.
Come riporta HRW, nel dicembre del 2018 Putin, durante l’incontro con la Presidenza
Le testimonianze di organizzazioni umanitarie, avvocati e attivisti, descrivono un quadro inquietante che richiama alla mente gli orrori compiuti in altre zone del mondo tra XX e XXI secolo. Non impressiona però solo similarità con i contesti del latinoamerica, colpiti durante la guerra fredda dalle dittature civico-militari. A preoccupare è la mancanza di spazio mediatico e sensibilizzazione sul tema dei diritti nel mondo occidentale fondato sul rispetto della libertà dell’individuo.
Fabio Cantoni