Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, si trova a un passo dall’estradizione negli USA, dove rischia 175 anni di carcere.
Nonostante gli appelli internazionali e le richieste della sua patria, l’Australia, gli USA non intendono retrocedere
Nei giorni scorsi, i rappresentanti dei governi di USA e Australia si sono incontrati per mettere a punto strategie di cooperazione militare nell’ottica dell’alleanza AUKUS.
In quest’occasione, la senatrice australiana Penny Wong ha sollevato anche la questione del caso di Julian Assange, fondatore, nel 2006, della piattaforma WikiLeaks. Il giornalista, attualmente in carcere a Londra, è accusato di aver incoraggiato e aiutato l’ex soldatessa Chelsea Manning nel crackaggio di una password che proteggeva documenti militari classificati, poi pubblicati su WikiLeaks.
Se da un lato, l’Australia, come patria del giornalista, ha più volte fatto appello agli USA perché chiudessero il processo; dall’altro, gli USA non danno segni di apertura in tale direzione.
Al contrario, secondo il segretario di Stato americano Antony Blinken, Assange sarebbe colpevole di “gravi crimini” e per questo andrebbe condannato.
La posizione dell’Australia: “enough is enough”
Da ormai più di 4 anni, Julian Assange si trova nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, in attesa della possibile estradizione negli USA.
Negli anni, 21 tra le grandi organizzazioni per i diritti umani e per la libertà di stampa (tra cui Amnesty, ACLU, RSF e PEN) si sono schierate contro l’intenzione degli USA, facendo appello perché lasciassero cadere le accuse contro Assange.
Secondo gli esperti, infatti, il caso rappresenta una grave minaccia alla libertà di stampa, che potrebbe mettere a rischio il lavoro di molti giornalisti investigativi e whistleblowers.
Inoltre, in diverse occasioni, esperti e difensori per i diritti umani hanno denunciato torture psicologiche e maltrattamenti nei confronti di Assange.
Lo scorso maggio è intervenuta anche l’Australia, Paese in cui il giornalista è nato nel 1971.
Il Premier Anthony Albanese, mentre si trovava in Inghilterra per l’incoronazione di Re Carlo III, ha espresso frustrazione per la continua ricerca dell’estradizione da parte degli USA che, dopo diversi anni, non è ancora arrivata a una conclusione.
Dico solo che quando è troppo è troppo. Non vedo alcun beneficio nel proseguire la sua incarcerazione
Albanese ha dichiarato di essere impegnato nel cercare soluzioni diplomatiche al caso. Infatti, secondo quanto dichiarato, il premier ha sollevato la questione, anche privatamente, con alcuni funzionari statunitensi.
Non posso fare altro che chiarire quale sia la mia posizione.
E l’amministrazione statunitense è certamente molto consapevole di quale sia la posizione del governo australiano
Infine, il Primo Ministro ha pubblicamente espresso la sua opinione in merito all’incarcerazione, e alla possibile estradizione, del fondatore di WikiLeaks.
Penso che quando gli australiani guarderanno alle circostanze, guarderanno al fatto che la persona che ha consegnato le informazioni, Chelsea Manning, sta camminando liberamente ora, dopo aver scontato un po’ di tempo in carcere.
Bisognerebbe considerare il tempo scontato da Assange a Belmarsh, e se questo è ragionevole
A fianco del premier australiano, e a sostegno di Julian Assange, si è posizionata in diverse occasioni anche la Ministra degli Esteri australiana, Penny Wong.
Il caso del signor Assange si è trascinato troppo a lungo, e il nostro desiderio che sia portato a una conclusione. Stiamo facendo quello che possiamo, tra governo e governo, ma ci sono limiti a ciò che la diplomazia può raggiungere
Blinken: “vite a rischio e gravi danni alla sicurezza nazionale”
Una delle principali accuse mosse contro WikiLeaks e il suo fondatore è quella di aver messo a rischio le vite di persone innocenti, e di aver causato gravi danni alla sicurezza nazionale.
Accuse ribadite dal segretario di Stato Blinken durante i colloqui in Australia.
Assange è stato accusato di condotta criminale molto grave. Le sue azioni hanno rischiato di danneggiare gravemente la nostra sicurezza nazionale, a beneficio dei nostri avversari, e hanno messo le fonti umane nominate a grave rischio di danni fisici e detenzione
Tali accuse si originarono dopo la pubblicazione su WikiLeaks degli Afghan War Logs e degli Iraq War Logs, tra l’inizio e la fine del 2010.
Si tratta di documenti riservati riguardanti crimini di guerra, morti civili mai denunciate e controverse strategie militari avvenute nei retroscena dei campi di guerra.
Queste pubblicazioni portarono a una dura reazione da parte degli USA.
Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Robert Gates, parlò di gravi danni per gli USA a livello internazionale.
Le conseguenze sul campo di battaglia sono potenzialmente gravi e pericolose per le nostre truppe, i nostri alleati e partner afghani, e potrebbero danneggiare le nostre relazioni e la nostra reputazione in quella parte chiave del mondo
L’ammiraglio Mike Mullen, inoltre, accusò Assange di “avere le mani sporche di sangue“.
Il signor Assange può dire quello che vuole sul bene più grande che pensa che lui e la sua fonte stiano facendo, ma la verità è che potrebbero già avere sulle loro mani il sangue di qualche giovane soldato o quello di una famiglia afghana
Accusa successivamente smontata dagli stessi collaboratori e media partner di WikiLeaks, che dichiararono che i documenti venivano redatti in modo rigoroso e preciso, proprio con l’obiettivo di proteggere nomi e dati sensibili.
Tant’è, il Dipartimento della Giustizia non ha mai trovato un solo individuo danneggiato dalle pubblicazioni dell’organizzazione.
Estradizione di Assange: pochi giorni alla fine
Come ha fatto intendere Blinken durante i colloqui in Australia, gli USA non hanno intenzione di far cadere le accuse contro Assange.
Capisco le sensibilità, capisco le preoccupazioni e le opinioni degli australiani. Ma penso che sia molto importante che i nostri amici qui capiscano le nostre preoccupazioni su questo argomento
Una decisione definitiva sul caso è attesa nei prossimi giorni.
Lo scorso 9 giugno, l’Alta Corte di Londra ha rigettato un appello dei difensori del giornalista contro l’approvazione dell’ordine di estradizione. Questi si sono allora appellati alla Corte Suprema, la cui sentenza è attesa a breve.
Se la risposta dovesse essere negativa, Assange potrebbe essere mandato negli Stati Uniti entro pochi giorni, se non addirittura il giorno stesso.