Da che mondo e mondo, per gli artisti la ricerca del bello è sempre stata un obiettivo. Ma esiste anche un’ estetica del brutto. E, ai tempi di oggi, è imprescindibile.
Nell’antica Grecia, si proponevano forme armoniche. E più ci si avvicinava all’ideale di bellezza e perfezione, di simmetria, più si poteva essere orgogliosi dei risultati ottenuti. Nel 450 a.C, per dirne una, lo scultore Policleto scriveva il suo Canone, oggi andato perduto. La ricerca di forme armoniche era tutto, nel mondo classico.
Ma il bello è una categoria che si intreccia necessariamente, e per antitesi, con quella del brutto. Nel mondo tardo romano, così come nel medioevo, si affacciano rappresentazioni grottesche e demoniache. Qualcosa di ben lontano dalla bellezza classica.
L’origine di una vera e propria estetica del brutto, però, è ancora lontana, e la incontriamo solo con la perdita della ricerca della forma, e l’inizio di un’arte che non cerca più la forma, ma al contrario tende a perderla.
“Brutti” sono i dipinti degli impressionisti, esposti al Salon de Refusés. Così come le informi e deformi Demoiselles D’Avignon di Picasso. Un quadro che ha rappresentato una delle svolte più significative della storia dell’arte, e che segna l’esordio del cubismo.
L’ estetica del brutto risponde all’esigenza di testimoniare la realtà del mondo. In particolare, si sviluppa nella Germania degli anni ’30 – ’40, un vero e proprio Locus Horridus, stigmatizzato da una crisi sociale profonda, e dell’avvento di una prima fase di sistematica industrializzazione.
L’arte del Novecento non è arte dell’ideale, ma arte del reale. Per questo la categoria del brutto è imprescindibile.
Il secolo breve è un secolo che non può rinchiudersi nell’arte aulica. E’ un secolo che cerca, pur nella paradosso della mancanza di forma, concretezza. Una concretezza che rivaluta anche la bruttezza, e la soggettiva, come già aveva anticipato Apollinaire, con le parole: “Oggi amiamo la bruttezza quanto la bellezza”.
La bruttezza diviene sinonimo di realtà, ma anche di libertà creativa. L’artista non deve attenersi a dei modelli prefissati, ma esprimere il proprio talento ed estro, le proprie emozioni, la propria visione del mondo (interiore quanto esteriore). Il baluardo di nuovi valori, come quello dell’autenticità, dell’unicità.
La bellezza classica viene spazzata via, per lasciare il passo all’espressività. I corpi di Schiele, nella loro difformità e spigolosità sono il trionfo di una nuova bellezza che origina dal brutto.
Una forma d’arte che trova spazio anche oggi, così tanti anni dopo. Tanto che si cerca sempre di più l’originalità, rispetto alla perfezione. Tanto che è stato aperto un museo che espone solamente opere brutte. E che ci impone di mettere in discussione anche concetti come l’oggettività e la soggettività. Ma questa, è un’altra storia.
Sofia Dora Chilleri