Allungare il congedo per la nascita di un figlio coinvolgendo anche i padri è una scelta giusta e fa bene la sottosegretaria di Stato al ministero del lavoro e delle politiche social, Francesca Puglisi, ad annunciare che il Governo andrà in questa direzione.
Per due ragioni: una è legata più classicamente al tema della equa distribuzione del lavoro di cura nella famiglia, tra uomini e donne, per tutelare le carriere lavorative delle madri.
La seconda è perché va nella direzione di ridurre il tempo dedicato al lavoro e ampliare quello dedicato alla vita, a parità di salario.
Nell’era dell’automazione un governo serio dovrebbe ragionarne in termini più generali, a prescindere dalla maternità e dall’assistenza a disabili e anziani, ma in ogni caso anche da questo punto di vista la direzione annunciata è un piccolissimo passo avanti.
Mi chiedo soltanto perché non farne ulteriori, perché fermarsi per i padri ad un impegno di soli 30 giorni.
Perché non ridisegnare dalle fondamenta il rapporto con il lavoro in questo particolare periodo della vita?
Magari prevedendo ulteriori 6 mesi di part-time verticale o orizzontale, senza riduzione di stipendio, da ripartire obbligatoriamente al 50% tra padre e madre: 3 mesi l’uno, 3 mesi l’altra.
O ancora perché non ampliare l’istituto del lavoro agile, permettendo alle madri e ai padri, nel primo anno di vita del bambino, ove possibile, di lavorare metà settimana l’uno e metà l’altra in modalità smart-working?
Le soluzioni ci sono. Manca solo il coraggio di osare davvero il cambiamento.
Elisabetta Piccolotti