Sogni infranti, futuro negato e fuga di cervelli
Potrei continuare a riportare definizioni atte a circoscrivere la condizione lavorativa dei giovani in Italia, ma a nulla servirebbe. E a nulla serve ripetere aggettivi, slogan o frasi di Casapound (prima gli italiani) per cercare di essere credibili, quando la situazione è tragicamente palese, così com’ è qui nel (l’ex?) bel paese.
L’Italia è quella nazione dove il giovane pare debba essere sfruttato, piuttosto che valorizzato, verità costantemente confermata dai numeri.
L’Italia del divario
In Italia, su un registro economico, si nota una distanza considerevole tra i pensionati e i minorenni (la percentuale è salita al 20% per quanto riguarda i minorenni, mentre tra gli anziani resta stabile al 4,5% ), tra i giovani del nord e quelli del sud (basta considerare che il 75% dei giovani che abita nella provincia di Milano ha un impiego, mentre il dato quasi si inverte nella provincia di Benevento, dove il 70% non lavora ), tra domanda e offerta ( si tratterebbe di 355mila posti scoperti per mancanza di profili professionali adeguati ).
Dunque, non vorrei tanto sottolineare per l’ennesima volta le contraddizioni e i paradossi italiani, anche perché, ormai, pare facciano parte della carta d’identità di questa nazione, come ne fanno parte i goffi tentativi politici di organizzarsi, senza mai riuscirci (ricordo ancora la solennità con cui alcuni si riferivano al contratto di governo siglato tra i gialloverdi) e le menzogne divulgate, accettate e condivise (come le chiacchiere sull’immigrazione, mentre le culle sono sempre più vuote e il sud si sta letteralmente spopolando di giovani).
Piuttosto vorrei capire chi ancora parla di giovani e lavoro e in che modo lo fa.
In Italia, infatti, c’è chi cerca di sabotare i dati utilizzando le menzogne, come quella che vede il sud Italia come il covo dei nulla facenti, la concentrazione del malaffare. Non è proprio così. E si capisce guardando al fenomeno delle migrazioni nazionali. Questo fenomeno si presenta abbastanza paradossale, se si pensa che alcune regioni del settentrione si dichiarano stanchi di subire l’effetto parassitario dei connazionali del meridione e chiedono a gran voce l’autonomia regionale.
Secondo il sociologo Gian Maria Fava (presidente dell’Eurispes), la situazione è del tutto capovolta: sebbene al sud sia più complicato fare politica, è qui che sono stati sottratti ben 61 miliardi all’anno, dal 2009 ad oggi. Un quadro, questo, che fa pensare che la cosiddetta “rapina al sud” non sia solo fantasia:dal 2000 ad oggi, infatti, lo Stato italiano avrebbe sottratto al sud all’incirca 840miliardi di euro.
L’Italia che cerca di colmare le disparità
Il gruppo Intesa San Paolo si è posto l’obiettivo di formare 5000 giovani disoccupati, per i settori delle vendite, della ristorazione e dell’informatica, col fine di riallineare l’offerta di lavoro con le competenze richieste. I settori indicati sono infatti settori che offrono lavoro, ma per i quali mancano le competenze necessarie. Un progetto, quello di Intesa San Paolo, che promette di finalizzarsi a livello nazionale entro il 2021, ma che comunque già presenta risultati, come sottolinea Gianluigi Venturini (direttore regionale Milano e provincia di Intesa Sanpaolo):
“Sono già 15 le aziende che, a Milano, hanno avviato percorsi di assunzione. Iniziative come questa rientrano a pieno nella strategia di supporto del gruppo ai giovani per i quali abbiamo avviato diversi progetti. Tra questi Z Lab, rivolto alle scuole secondarie per offrire, agli studenti di licei e istituti tecnici o professionali, un programma triennale di apprendimento e sperimentazione dentro Intesa Sanpaolo. Inoltre, abbiamo erogato oltre 170 milioni di euro per finanziare gli studi universitari di 15mila studenti e, grazie al prestito senza garanzie ‘Per Merito’, gli studenti che in Italia hanno ricevuto un finanziamento sono stati 3.240 in un anno e, di questi, il 13% sono in Lombardia”
Il problema dei giovani col lavoro è stato fatto presente anche dal professor e demografo Alessando Rosina. Secondo Rosina bisogna innanzitutto partire dal presupposto che siamo un paese con un alto debito pubblico ed un accentuato “invecchiamento”. Se si tiene conto di questi due cardini, allora si capirà l’urgenza di rafforzare il contributo dell’asse produttivo. Il demografo, intervistato dal Fatto Quotidiano, sostiene si possa contare su quelle persone che arrivano nel nostro paese, si, avete capito bene, proprio sui migranti, per cercare di risolvere una situazione che rischia di implodere:
“Lo scenario più favorevole è quello di miglioramento dell’occupazione. Ma questo comunque non basta per evitare il crollo all’interno della fascia centrale lavorativa quando verrà raggiunta dagli attuali 30-34enni. Un contributo può arrivare dai flussi migratori, che però devono essere quantitativamente sostenibili e soprattutto qualitativamente ben inseriti nel modello sociale e di sviluppo del paese. I flussi di ingresso sono scesi negli ultimi anni sotto le 300mila persone e se si tiene conto dei flussi di uscita il saldo scende sotto le 200mila. Nel prossimo decennio si può pensare a un saldo che torni ad avvicinarsi alle 300mila, ma questo significa anche ridurre il flusso di uscita dei giovani italiani verso l’estero. Se l’Italia torna a investire sulle opportunità delle nuove generazioni diventa anche più attrattiva verso il capitale umano di qualità.”
Alfonso Gabino