Essere gay sul lavoro è uno svantaggio? Il report UNAR dice sì

report UNAR

Il report UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) del 2022 segnala che, secondo il 40% degli intervistati, essere omosessuale o bisessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa.

Il report UNAR sulle discriminazioni lavorative

Nel 2022 l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) ha condotto, insieme all’Istat, una rilevazione sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ (nell’indagine non sono incluse le persone transgender di qualsiasi orientamento sessuale). L’obbiettivo è fornire un quadro informativo su diffusione e percezione delle diverse forme di discriminazione, minacce e aggressioni, che queste persone possono aver subito sul luogo di lavoro o in altri contesti. Il report UNAR è stato condotto tramite un autocompilazione elettronica online, rivolto a persone omosessuali e bisessuali maggiorenni che al momento dell’indagine vivevano abitualmente nella penisola: sono state fornite circa 1200 risposte, di cui la maggioranza di chi ha risposto (84,7%) è attualmente impiegata o lo è stata in passato (9,8%).

Il report si concentra soprattutto sulle esperienze di discriminazione che gli intervistati hanno vissuto sul lavoro:  eventi o situazioni in cui la persona ritiene di essere stata trattata in maniera meno favorevole di altre . In particolare, sono state indagate le discriminazioni che gli intervistati riferiscono di aver subito durante la ricerca di un lavoro o nel corso della propria attività come dipendente e le situazioni in cui si è percepito un clima ostile oppure si sono verificate minacce o aggressioni. Il questionario poi si chiude con una parte che indaga sulla situazione discriminazione nella quotidianità: minacce o aggressioni per l’orientamento sessuale, insulti.

I dati

Non avendo risposto tutta la popolazione appartenente alla comunità LGBTQ+,  i dati raccolti non rappresentano la totalità della popolazione che si identifica come omosessuale o bisessuale. Il coming out, ossia l’atto di rivelare volontariamente agli altri il proprio orientamento sessuale, in ambito lavorativo è largamente diffuso, infatti nel 79% dei casi circa questo è fatto verso i colleghi di pari grado; il dato relativo invece all’outing (lo svelamento del proprio orientamento sessuale da parte di altre persone) è circa del 31%. L‘outing già di per sè rappresenta una forte violazione della privacy e dell’intimità della persona, in quanto spesso il processo di coming out è difficile e personale, il fatto che avvenga in ambito lavorativo è ancora più problematico per la persona che ne è vittima.

Il 41,4% delle persone intervistate, occupate o ex-occupate, dichiara che essere omosessuale o bisessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati, quali carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione, mostrando come non in tutti i luoghi di lavoro ci sia inclusività. La maggior parte degli svantaggi si riscontra riguardo alla crescita professionale e agli avanzamenti di carriera, mentre la differenza è meno marcata riguardo al reddito; gli svantaggi comunque si riducono con l’aumentare degli anni di lavoro nello stesso posto. Va sottolineato inoltre che, anche nel caso di persone LGBTQ+, ad essere discriminate sono maggiormente le donne: le persone lesbiche sono meno soggette ad avanzamenti di carriera o reddito rispetto alle persone omosessuali o bisessuali.

Il 61,2% degli intervistati riporta che, in relazione all’attuale o ultimo lavoro svolto, ha evitato di parlare della vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale; per la stessa ragione circa una persona su tre ha evitato di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero. Circa 8 persone omosessuali o bisessuali intervistate su 10 hanno sperimentato almeno una forma di micro-aggressione (messaggi denigratori rivolti ad un gruppo sociale determinato, spesso fatti inconsciamente o come battuta) in ambito lavorativo legata all’orientamento sessuale; circa 1 persona su 3 ha subito discriminazione mentre cercava lavoro, anche se non necessariamente era legato all’orientamento sessuale, ma alla religione o all’etnia (ma sempre di discriminazione si tratta).

Uno dei dati più preoccupanti comunque, riguarda la vita pubblica delle persone delle persone omosessuali o bisessuali intervistate: il 74,5% di loro dichiara di aver evitato di tenersi per mano in pubblico con il proprio partner per paura di essere aggredito, minacciato o molestato. Questo significa che, nel 2023, non è ancora sicuro per una persona di orientamento non eterosessuale andare in giro normalmente per strada: è scandaloso che ci si debba ancora preoccupare di poter esser aggrediti se visti con il proprio partner, solo perché dello stesso sesso.

Marco Andreoli

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