Dalla sua nascita nel 1887 ad opera di uno studente polacco, l’esperanto è diventato la lingua artificiale più parlata al mondo. Rendendo possibile il dialogo tra popoli lontanissimi e realizzando il sogno di un linguaggio universale.
Le parole del giovane Ludwik Lejzer Zamenhof nella lettera all’amico Nikolai Afrikanovich Borovko sono inevitabilmente collegate allo spirito con cui l’autore di queste righe pensò di creare una lingua ex novo, l’esperanto.
La popolazione di Białystok è formata da quattro elementi: russi, polacchi, tedeschi, ebrei. Ciascuno di questi gruppi parla una lingua diversa e ha relazioni non amichevoli con gli altri gruppi. […] mi hanno insegnato che tutti gli uomini sono fratelli e intanto sulla strada e nel cortile tutto a ogni passo mi ha fatto sentire che non esistono uomini, esistono soltanto russi, polacchi, tedeschi, ebrei, ecc.
Zamenhof abita a Białystok, città polacca che all’epoca apparteneva all’impero russo. Attento osservatore della realtà che lo circonda, nota che la mancanza di comunicazione e le incomprensioni linguistiche sono la causa principale di scontri e violenze tra gli abitanti. Non è una situazione anomala nell’impero russo, che già allora vantava un’enorme varietà etnica all’interno dei suoi confini.
La nascita dell’esperanto
Zamenhof decide quindi di sviluppare un linguaggio che non sia appartenente a nessuna entità politica, estremamente logico e facile da apprendere. Il suo bagaglio culturale gli sarà molto d’aiuto nell’impresa: in qualità di studente di liceo classico conosce già latino, greco, inglese e francese, e come lingue madri il polacco e il russo. La prima versione della lingua artificiale, il proto-esperanto nasce proprio tra i banchi di scuola. Il giovane Zamenhof la perfeziona giorno dopo giorno, la insegna ai suo compagni e nel 1878, a soli 19 anni, recita una poesia scritta nella nuova lingvo internacia (questo il suo nome originale) per dimostrarne l’efficacia e l’espressività.
Purtroppo il padre di Zamenhof decise di bruciare tutti gli appunti del figlio sulla neonata “lingua internazionale”, temendo che lo avrebbero distratto dagli studi di medicina. Così fu necessario aspettare un’altra decina d’anni, fino al 1887, per vedere la seconda versione, stavolta quella definitiva, della lingua esperantista; la stessa che oggi artisti, scrittori, musicisti e registi utilizzano per le loro opere.
Un ideale universale
I documenti fondanti del mondo esperantista sono la Dichiarazione di Boulogne (1905) e il Manifesto di Praga (1996). Con essi non viene sancita solo l’esistenza di una nuova lingua ausiliaria da utilizzare negli scambi internazionali, ma si afferma la creazione di una comunità con i suoi ideali, fortemente influenzati dal positivismo e dall’ottimismo verso il futuro. Sin da subito, infatti, Zamenhof rinuncia a qualsiasi diritto sull’esperanto: la lingua non deve appartenere ad un singolo, ma all’umanità. Gli unici possessori spirituali esperantisti devono essere quelli che ne faranno miglior uso: poeti, artisti, scrittori.
Si afferma inoltre che l’esperanto non deve essere uno strumento politico, e per questo non si affilia a nessuna corrente, partito o ideologia che non sia la fratellanza e la pace tra gli uomini. In questo senso fu simbolica la proposta della parlamentare europea Ljudmila Novak, slovena, di rendere la lingua artificiale quella di uso comune nell’Europarlamento.
Influenze su società, arte e letteratura
Nella sua breve storia, la Lingvo Internacia sfortunatamente non ha avuto molti riconoscimenti nella società popolare, restando un’esclusiva dei circoli di intellettuali. Eppure non mancano episodi celebri come quello dell’Isola delle Rose, lo stato nato su una piattaforma al largo delle coste romagnole nel 1967, dove l’esperanto, anche se per poco, diventò per la prima volta la lingua ufficiale di una nazione. Una proposta simile era stata già avanzata per lo stato del Moresnet, esistito in Europa dal 1816 al 1919, questa però senza nessun seguito.
Questa lingua ha trovato il suo spazio anche nelle opere artistiche, in particolar modo nel cinema e nella letteratura. Molti film, da Gattaca a Captain Fantastic, contengono dialoghi in esperanto, e non mancano canzoni, tra cui “Con Te Partirò” di Andrea Bocelli, che artisti esperantisti hanno tradotto e riproposto in versioni acclamate dagli ascoltatori.
Questa è la Lingua Internazionale. La prima che, oltre a comunicare informazioni, serve a veicolare un messaggio di speranza, chiaro e inequivocabile, senza eccezioni, proprio come il mezzo che lo ha generato. Una lingua dove niente, nemmeno il suo stesso nome, è lasciato al caso. Esperanto è il participio presente del verbo esperi, sperare. E chiunque legga un libro, ascolti una canzone, guardi un film esperantista leggerà e ascolterà il linguaggio di chi spera.