Esiste la realtà oggettiva? Oppure è la nostra soggettività che determina ciò che vediamo?
In altre parole, è vero che – come la bellezza – tutto dipende dagli occhi di chi guarda?
Sappiamo che questo accade nei rapporti umani, quando l’opinione che abbiamo di una persona – il famigerato pregiudizio – offusca la nostra vista e ci rende difficile distinguere la realtà oggettiva dal nostro pensiero soggettivo. Succede quando ci invaghiamo dell’idea che abbiamo di una persona e non della sua essenza reale. Oppure quando due persone guardano una terza nello stesso momento e la vedono diversa.
Realtà oggettiva e pensiero filosofico
Tutto ciò è applicabile anche agli oggetti? Questo è un interrogativo che nasce molti anni fa e a cui anche alcuni filosofi hanno cercato di dare una risposta. Ci aveva provato Locke, criticando l’idea di sostanza, affermando che l’uomo conosce soltanto i fenomeni (idee semplici) che poi unifica per formare un’idea (idee complesse), alla quale attribuisce un nome. E che la realtà è conoscibile in quanto idea complessa costruita da noi, mentre è inconoscibile – ammesso che esista – in quanto realtà oggettiva. Poi Hume, sostenendo che noi possiamo essere certi solo delle nostre percezioni e che la realtà esterna concepita come metafisica non sia giustificabile, ma che sia il nostro istinto a farci credere che sia tale.
Ci hanno provato nel corso degli anni psicologi, scienziati cognitivi e neuroscienziati dei giorni nostri. Ma nessuno era riuscito ad arrivare ad un punto definitivo.
Oggi abbiamo una risposta a questa domanda, che arriva da una serie di esperimenti condotti da un team di scienziati della Johns Hopkins University e descritti sulla pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).
Lo studio
Gli autori della ricerca hanno architettato nove variazioni sul tema di uno stesso esperimento, in cui si chiedeva ad alcuni volontari di osservare una coppia di monete tridimensionali, una di forma ovale e una rotonda leggermente ruotata (che all’apparenza sembrano molto simili). I soggetti dovevano decidere quale fosse il vero ovale.
Il compito è stato ripetuto in una serie di condizioni differenti pensate per eliminare ogni possibile elemento confondente (dal vivo, in video, con differenti angoli di rotazione, ferme ed in movimento). Gli scienziati hanno poi confrontato i tempi di risposta con quelli ottenuti senza avere di fronte anche la moneta rotonda.
I risultati
Ciò che è emerso è stato sorprendente (ma non troppo). I partecipanti hanno impiegato più tempo a riconoscere la moneta ovale quando nel loro campo visivo era presente anche quella di forma tradizionale. Nonostante conoscessero la differenza tra le due.
Ciò significa che l’immagine retinica bidimensionale non scompare durante l’elaborazione delle informazioni visive, ma continua ad accompagnare le nostre percezioni, tanto da poter rallentare il lavoro del cervello quando si trova a discriminare tra due oggetti all’apparenza simili, ma differenti nella sostanza, come le due monete.
Infatti il cervello elabora le immagini retiniche bidimensionali provenienti dagli occhi e crea la vista di un oggetto tridimensionale dalle caratteristiche stabili. Ma ognuna di loro può teoricamente essere prodotta da molti oggetti differenti. Questo genera un’ambiguità di fondo che deve essere risolta dal nostro cervello per produrre la rappresentazione invariante di una moneta anche di fronte a differenti condizioni di luminosità, prospettiva, distanza e così via.
Conclusioni
Non è possibile accantonare la nostra soggettività quando guardiamo il mondo. Non si può fare una distinzione netta tra ciò che è e cioè che pensiamo che sia. Ognuno guarda le cose da una prospettiva differente, anche in base a quello che si aspetta di vedere.
In sostanza, non esiste la realtà oggettiva.
Anna Gaia Cavallo