L’escalation tra Iran e Israele cambia la dialettica del conflitto in corso a Gaza

Analisi sui risvolti generati dall'attacco Iraniano contro Israele

Tensione Iran israele

Tensione Iran israele

È stato un attacco senza precedenti quello inflitto dall’Iran ad Israele nella notte tra il 13 e il 14 aprile. L’azione, definita dal  portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby come ” uno spettacolare fallimento” ha in realtà centrato l’obbiettivo strategico di Isolare Israele nella scelta delle prossime mosse in risposta a Teheran.

La guerra in Palestina condotta ininterrottamente da Israele nella Striscia di Gaza sembra addirittura poter passere in secondo piano in questi giorni, nonostante le 33.800 vittime in maggioranza civili registrate negli ultimi sei mesi.

Ogni spregiudicatezza perpetrata dal primo ministro Israeliano e leader del partito di maggioranza della Knesset Benjamin Netanyahu non è costata a Tel Aviv il venir meno del supporto militare e politico statunitense, nonostante non siano mancate le tensioni con Joe Biden.

La risposta di Israele

La prospettiva che Israele possa e voglia alzare ulteriormente la tensione in questo braccio di ferro con l’Iran è reale ed è stata prospettata dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant  direttamente al capo del Pentagono Lloyd Austin in una dichiarazione che non lascia dubbi: “non c’è altra scelta se non quella di rispondere all’attacco di Teheran” intenzione confermata anche dal comandante delle IDF Herzi Halevi.

La decisione ora spetta a Netanyahu e ad un ristretto numero di ministri, tra i quali figurano lo stesso Gallant e Benny Gantz, ex capo di stato maggiore dell’esercito e capo dell’opposizione politica a Netanyahu. I tre sono i principali esponenti del gabinetto di guerra creato l’11 ottobre scorso, a seguito dell’attacco di Hamas, la loro attività è affiancata solo da altri tre consiglieri personali che coadiuvano le scelte strategiche. Alle numerose riunioni che si sono susseguite dal 7 ottobre partecipano poi varie personalità politiche nazionali e internazionali, lo stesso Antony Blinken ha contribuito a varie assemblee di questo apparato di guerra.

Da parte iraniana la risposta militare perpetrata sabato notte all’attacco al suo consolato condotto da Israele in Siria, che ha portato alla morte di Mohammad Reza Zahedi, chiude il cerchio delle reciproche provocazioni dirette tra i due paesi. Il presidente Iraniano Ebrahim Raisi in una conversazione telefonica di ieri con l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, ha definito un “successo” quella che nella pratica è stata una mirata e calcolata dimostrazione di intolleranza alle incursioni di Israele contro gli interessi Iraniani.

Lo scopo del lancio di più di 300 ordigni tra droni e missili balistici verso obbiettivi militari israeliani era sicuramente inteso come dimostrativo delle capacità e delle intenzioni belligeranti di Teheran, piuttosto che intenzionato a colpire personalità militari di rilievo in Israele.

Le opzioni in risposta all’attacco di Teheran sono numerose ma si possono riassumere in tre gradi di rischio per la stabilità della regione. Un attacco rivolto verso le strutture militari o agli esponenti dei Pasdaran nei paesi considerati vicino all’Iran, ovvero Iraq, Siria, Libano e Yemen dinamica che avviene regolarmente ormai da anni.

Un aumento del rischio di escalation del conflitto riguarderebbe invece un attacco rivolto alle istallazioni nucleari iraniane che, come ha dichiarato il primo ministro Britannico Rishi Sunak, in riferimento al programma nucleare in via di sviluppo in Iran, “non è mai stato ad un livello più avanzato di quanto non lo sia oggi”. La terza alternativa, molto poco probabile, potrebbe prevedere l’intenzione di un attacco diretto al regime dei Pasdaran con lo scopo di una guerra aperta, opzione improbabile tanto quanto lo sarebbe lo scenario della non risposta, che alcuni analisti prospettano in quanto Israele potrebbe già dichinarsi vincitore di questo confronto avendo intercettato il 99% degli ordigni lanciati sabato.



L’ipocrisia dei governi coinvolti

È doveroso ricordare che entrambi i governi sia in Israele che in Iran, in questo momento, stanno traendo vantaggio dalla retorica della guerra permanete contro il nemico. Il regime di Teheran isolato e indebolito economicamente dalle sanzioni internazionali deve propinare all’opinione pubblica interna delle motivazioni concrete per giustificare gli enormi sacrifici che la popolazione iraniana si vede costretta ad affrontare da decenni.

Dall’altro lato la sopravvivenza politica di Netanyahu dipende dalla durata del conflitto in Palestina che però sta generando sempre più insofferenza e disapprovazione tra la comunità internazionale e le relative opinioni pubbliche. Lo spostamento dell’attenzione mediatica dalla striscia ai confini di Israele è riuscito anche a modificare la narrazione di questa vicenda mediorientale, la dialettica ora sostiene che è Israele ad essere sotto attacco dopo aver bombardato per sei mesi la popolazione civile di Gaza per dare la caccia a qualche miliziano di basso grado di Hamas la cui morte vale più della vita di centinaia di civili, tra cui donne e bambini.

Gli Stati Uniti si sono dichiarati, sempre attraverso la figura di John Kirby “non coinvolti” in questa faccenda, in quanto: “Il governo Israeliano deciderà da solo se ci sarà e quale sarà la risposta”.

Questo non deve farci dimenticare che gli USA hanno posto per ben tre volte il diritto di veto alle proposte su un cessate il fuoco in voto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il tutto non avendo mai interrotto la costante fornitura di armi agli alleati israeliani, le stesse armi che piovono sulla popolazione palestinese.

Lo speaker della camera Mike Johnson ha già annunciato l’intenzione di mettere al voto ulteriori forniture militari e supporto economico a Israele senza però specificare se questo nuovo pacchetto di aiuti al genocidio in corso a Gaza sarà legato alla fornitura di armi anche all’Ucraina che i repubblicani vogliono impedire.

Stiamo assistendo alla tanto temuta escalation che si prospettava da mesi in Medio Oriente, un errore non previsto potrebbe portare la regione sull’orlo del baratro, ma, per ora, tutti gli attori di questo teatro bellico sembrano trarre vantaggio dalla situazione che si è venuta a creare, tutti tranne i civili.

Fabio Schembri

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