Negli ultimi giorni se ne è molto parlato: l’ergastolo confermato per Impagnatiello e quello richiesto per Turetta in vista dell’udienza conclusiva del 3 dicembre sono due sentenze di forte interesse mediatico per la crudeltà e la drammaticità dei reati commessi.
A riaccendere la discussione sul tema ergastolo in seguito alla recente udienza per l’omicidio di Giulia Cecchettin sono state le parole dell’avvocato difensore di Turetta, Giovanni Caruso, che nel corso dell’arringa ha rifiutato la possibilità di un ergastolo per Turetta attaccando i punti deboli della pena perpetua: “L’ergastolo è da molto tempo ritenuto una pena inumana e degradante, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato“.
Così Caruso rimette sul tavolo due delle criticità da sempre discusse della pena a vita: quella di essere incongruente sia con il diritto alla rieducazione e al reinserimento dei detenuti sancito dalla Costituzione, sia con i diritti umani consacrati dalla Convenzione Europea.
Sulla legittimità o meno della pena perpetua si discute da moltissimo tempo e l’occasione di questi due processi dall’enorme risonanza mediatica deve, a prescindere dalle opinioni personali, poter anche riaprire uno spazio di riflessione sull’entità di questa pena, sulla sua storia, sulle problematiche etiche, valoriali e legali ad essa legate.
Breve storia dell’ergastolo
La parola “ergastolo”, originariamente greca poi assorbita dal latino ergastŭlum, serviva a definire la “casa di lavoro”, in genere la cella in cui venivano detenuti in catene schiavi o altri prigionieri. Il significato del termine da quello originale di “cella per gli schiavi” si è sviluppato al concetto di detenzione vita natural durante nel corso del Medioevo, per definire la pena perpetua inflitta ai religiosi che avessero disatteso il voto di castità.
La condanna a vita torna ad essere discussa nel XVIII secolo come possibile sostituzione alla pena capitale. La questione appare in numerosi saggi illuministi, tra cui il famoso Dei delitti e delle pene, in cui Cesare Beccaria promuoveva l’ergastolo come pena alternativa ancora più efficace della condanna a morte, essendo essa un peso crudele da portare per tutta la vita. È in questo periodo storico che si afferma l’ergastolo come pena intermedia tra quella di morte e le pene temporanee.
Tuttavia già all’epoca si discusse in più sedi della natura eticamente problematica della pena perpetua perché alienante e diseducativa.
L’ergastolo in quanto pena detentiva perpetua venne introdotto ufficialmente nel codice penale italiano nel 1889, sostituendo i lavori forzati e la pena di morte, anche se quest’ultima venne poi ristabilita sotto il fascismo e nuovamente abolita nel 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione.
Sebbene già all’epoca della sua prima introduzione si discutesse su possibili modi per allentare la pena (come la possibilità di entrare in libertà condizionale dopo tot anni di carcere) questi non vennero ancora inseriti, in quanto la pena perpetua risultava come sostitutiva a quella di morte inflitta a soggetti ritenuti incorreggibili e irrecuperabili, quindi comunque non rieducabili o reintegrabili nella società.
Tuttavia dal 1948, dopo l’abolizione definitiva della pena di morte e l’entrata in vigore della Costituzione, si sono susseguite una serie di modifiche al codice penale per mitigare alcuni aspetti della condanna adattandola ai diritti sanciti dalla Costituzione. Tali modifiche hanno un poco allentato la pena introducendo alcuni benefici per i detenuti e dichiarando l’ergastolo come pena illegittima nei confronti di minorenni.
L’ergastolo oggi
L’articolo 22 del codice penale italiano attuale sancisce quanto segue: “la pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto.”
In Italia si è stabilito che chi sconta un ergastolo può, se non giudicato pericoloso e in caso di buona condotta, accedere ad una serie di benefici nel corso degli anni: dopo 10 anni può avere accesso a permessi premio, dopo 20 alla semi-libertà e dopo l’espiazione di 26 anni alla libertà condizionale.
Tuttavia in Italia esiste un secondo tipo di ergastolo, l’ergastolo ostativo, in genere riservato a delitti di carattere mafioso, che preclude al detenuto l’accesso a qualsiasi tipo di beneficio.
Importante da tenere a mente è il fatto che l’Italia è tra i paesi europei più severi rispetto all’ergastolo. La severità del sistema italiano è legata al tempo previsto per accedere ai benefici e soprattutto alla libertà condizionale. Questa può essere richiesta già dopo 12 anni in Danimarca e in Finlandia o dopo 15 in paesi come Austria, Belgio, Germania, Svizzera. Altri Stati hanno invece formalmente abolito la pena perpetua, tra questi: Norvegia, Croazia, Serbia, Bosnia, Portogallo e Città del Vaticano.
I reati per cui è imputabile l’ergastolo in Italia oggi non sono pochi. Questi si suddividono in quattro categorie: i delitti contro lo Stato (es. attentati terroristici, guerre civili ecc.), i delitti contro l’incolumità pubblica (es. stragi), i delitti contro la persona ma secondo determinate circostanze aggravanti (come la premeditazione, l’uccisione di un coniuge o del partner ecc.) e i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone (es. il sequestro di persona a scopo di estorsione).
Fine pena: mai. Le discussioni sulla pena perpetua
Il tema dell’ergastolo è da sempre oggetto di profonde discussioni sulla tutela dei diritti umani. Queste si basano su diverse considerazioni che possiamo riassumere in due filoni principali, uno etico e uno legale.
Sul piano etico le criticità della condanna a vita sono legate al fatto che tra l’ergastolo e le altre pene non c’è una differenza quantitativa, ma qualitativa. Si tratta di una pena totale in quanto in assenza di una scadenza, essa annulla il sentimento di speranza che è ciò che tiene in vita gli individui.
Chi argomenta per l’abolizione dell’ergastolo sostiene come, togliendo al detenuto ogni speranza, gli si infligga una pena che aliena l’individuo, in pratica ne annulla l’esistenza. Anche se non si tratta di una pena di morte in senso fisico, la pena perpetua, privando il detenuto di ogni tipo di futuro, determina il suo annullamento, la “morte” civile dell’individuo.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in una sentenza del 2013 ha affermato che l’ergastolo senza possibilità di revisione della pena è una violazione dei diritti umani, poiché l’assenza di scadenza della condanna è considerata un trattamento inumano (nel senso che annulla l’essere umano) con conseguente violazione dell’art. 3 sulla proibizione della tortura della Convenzione Europea sui Diritti Umani.
E qui arriviamo alla questione legale. Negli innumerevoli dibattiti protrattisi negli anni a questo riguardo è chiaro come l’anello debole della pena siano i dubbi sulla sua legittimità costituzionale, ciò a cui peraltro si è appellato l’avvocato di Filippo Turetta in aula. In effetti, l’articolo 27, co. 3 della Costituzione italiana stabilisce che le pene inflitte debbono avere come obiettivo la rieducazione del condannato, principio di base in contrasto con l’idea di una condanna perpetua.
Tuttavia, nel corso degli anni sono state apportate una serie di modifiche al testo sull’ergastolo al fine di rimarginare l’effettivo problema dell’incostituzionalità della pena. Tra queste ci sono i benefici, di cui abbiamo trattato qui sopra, a cui il detenuto può accedere dopo tot anni di carcere.
In conclusione, l’ergastolo ordinario rimane una pena perpetua, anche se dopo un certo periodo di tempo essa può essere mitigata da una serie di benefici a seconda del comportamento del condannato e a discrezione del giudice.