L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di Emergenza Sanitaria Internazionale per l’epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo.
L’attuale epidemia di ebola è il secondo peggior caso della storia: lo status di allerta era già stato lanciato nell’agosto del 2018.
Fino ad oggi, si contano più di 2500 casi di infezione e circa 1670 decessi.
Gli sforzi per contenere e controllare il contagio, localizzati prevalentemente nella province di Ituri e Nord Kivu, sono ostacolati dalle rappresaglie dei locali gruppi armati, che impediscono un coordinamento efficace tra le forze di ricerca e controllo internazionale.
Il direttore Generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante il quarto meeting internazionale di Ginevra del Comitato di Emergenza, ha parlato di “un lavoro straordinario, compiuto nell’ultimo anno nelle peggiori circostanze possibili. È arrivato il momento di raddoppiare i nostri sforzi e lavorare insieme alla Repubblica Democratica del Congo per porre fine a questa emergenza”.
Nonostante l’epidemia di ebola in Congo fosse sotto stretto controllo, la situazione è rapidamente degenerata dopo la scoperta del primo caso di infezione a Goma, la prima delle grandi città a essere colpita, situata a circa 350 km dall’epicentro della malattia.
Secondo i Regolamenti Sanitari Internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sottoscritti da 196 paesi, lo stato di emergenza sanitaria internazionale viene definito come “un evento straordinario, che può costituire un rischio sanitario per gli altri stati attraverso il diffondersi della patologia e potenzialmente potrebbe richiedere una coordinazione internazionale”.
“I recenti sviluppi hanno portato a questa decisione, tra cui il primo caso confermato di contagio a Goma, una città di circa due milioni di abitanti al confine con il Rwanda e grosso centro di di passaggio merci ed essere umani, sia per la Repubblica Democratica del Congo si per il resto del mondo”.
Parole dure del Comitato per quanto riguarda i fondi internazionali: i ritardi che hanno segnato la concessione e il riutilizzo delle risorse economiche hanno, di conseguenza, rallentato l’azione di controllo e contenimento del virus.
La chiusura dei confini e delle rotte commerciali è un rischio che, secondo il Comitato, deve essere evitato a tutti i costi, per salvaguardare il benessere della popolazione e degli attuali contagiati.
La chiusura delle rotte commerciali comporterebbe il rischio concreto di aggravare l’instabilità dell’area.
“È importante che il mondo segua queste raccomandazioni. È altrettanto importante che gli stati non utilizzino lo stato di emergenza come scusa per imporre restrizioni economiche o di viaggio, che possono avere conseguenze negative sulla vite delle popolazione della zona”.
L’attuale epidemia di ebola ha un tasso di infezione tra i bambini più alto rispetto all’ondata precedente del 2014: 31% dei casi registrati riguardano minori.
Dei 750 casi monitorati, il 40% riguarda bambini sotto i cinque anni di età.
Un maggior tasso di infezione tra i bambini provenienti dalle zone più rurali, soggetti molto spesso denutriti e deboli, comporta un aumento del rischio di contagio anche tra gli adulti.
La vaccinazione e il trattamento dell’epidemia all’interno dei nuclei famigliari devono diventare una priorità nel percorso di lotta al virus.
Si deve considerare che i bambini contagiati, da un alto, necessitano di cure e assistenza specifica, con medicinali e programmi dedicati; dall’altro, se i minori vengono divisi dalle famiglie, devono ricevere l’aiuto necessario per non rimanere isolati.
Molto spesso, i bambini allontanati dai nuclei famigliari originali per motivi medici non vengon accettati dalle nuove famiglie.
Secondo il Direttore Tedros, l’attuale epidemia di ebola è peggiore di quella dell’Africa Occidentale: la disinformazione, la sfiducia nei mezzi di assistenza e l’instabilità politica sono barriere che ostacolano gli sforzi della comunità internazionale.
“Questa condizione riguarda madri, padri e bambini- molto spesso intere famiglie sono state colpite. Al centro di tutto ci sono le comunità e le tragedie personali. Lo stato di emergenza sanitaria internazionale non deve essere utilizzato per stigmatizzare o penalizzare proprio le persone che più di tutti adesso hanno bisogno del nostro aiuto”.
Chiara Nobis