Enrico Letta è tornato a casa da segretario del Pd, a sette anni dalla rottura. Basterà per tirar fuori il Pd dallo stallo?
Caro Enrico Letta,
bentornato. Chi l’avrebbe mai detto? Venditti, forse, con i suoi certi amori che non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Il giorno di San Valentino di sette anni fa questi amori ti scaricano male, innamorati di Matteo, carismatico toscano che ha vinto le primarie qualche mese prima. Ti avevano pure rassicurato, con il famigerato “Enrico stai sereno”, frase che è diventata più allarmante di “È solo un amico”. Ma niente: hai lasciato Palazzo Chigi, mentre il tuo partito intanto partiva per la luna di miele con Renzi.
Un modello di condotta
Sei stato un integerrimo esempio di comportamento per la categoria dei lasciati male: nessuna dichiarazione, nessuno sfogo sui social. Sei tornato a fare la tua vita. A Parigi come professore hai avuto pure qualche soddisfazione, secondo il comandamento del successo come vendetta per chi ci vuole male. Da lontano, con la consueta sobrietà, ti immaginiamo mentre sorridi beffardo nel tuo appartamento parigino. Segui, con discreto godimento, i saliscendi della politica italiana: com’è finita poi con quel Renzi? Male. Il tuo ex partito si è consolato con l’amicizia sincera di Gentiloni: brava persona. Sicuramente non farà soffrire quel gran casinista che è il Partito Democratico, che deve ancora capire cosa vuole dalla vita.
La fase Zingaretti
Altro giro, altra corsa. Arriva Nicola Zingaretti: uno a cui va bene, fondamentalmente, tutto. Prima odia i Cinque Stelle, poi diventano i suoi migliori amici. Anche il PD si adegua, secondo l’antico adagio del “finché la barca va, lasciala andare”. E tu sei sempre lì, a Parigi: certi giorni vai a vedere cosa fa la tua vecchia fiamma e provi un misto di compassione unito al rinfrancante sollievo di non dovere essere tu, lì, in quel momento a discutere con Di Maio e a star dietro ai capricci dei Cinque Stelle. “Doveva andare così”, ti dici. E proprio quando la ferita si è richiusa e puoi riguardare sì, con tenerezza ma anche con disincanto a quei giorni romani, è lì che abbassi la guardia.
La svolta
È lì che il PD ti richiama: è successo un casino. A Zingaretti è partita la brocca: il giorno prima andava tutto bene, il giorno dopo ha detto che a lui questa relazione non andava bene più. Che non gli piaceva più discutere di cariche, di correnti, di questioni interne. Ha fatto le valigie e se n’è andato. E tu stai lì, al telefono, Enrico e ascolti il PD. Ti dice che in questo momento è solo, che tu lo conosci meglio di chiunque altro, che ha sbagliato a comportarsi male con te: ti fa tanta pena. Non è cattivo, è solo che non sa cosa vuole. Ed è in questo momento di debolezza che il fascino della minestra riscaldata ti richiama in Italia. “Prima, però, dobbiamo parlare”, dici, tutto d’un pezzo.
Le condizioni
E parli. Ti presenti all’assemblea del Pd con un discorso chiaro. Per ricominciare hai posto delle condizioni: basta contratti con il Movimento Cinque Stelle, che ha quel vizio di non rispettare l’art. 49 della Costituzione, secondo cui i partiti devono essere democratici, non associati. Possono essere ascoltati, possono venirsi a bere un caffè e possiamo salutarci per strada. Possiamo salutare e ascoltare anche tutti gli altri, amici, nemici, ex, chi c’è stato, chi ha tradito, chi se n’è andato e chi non è mai partito. E poi hai detto che il governo Draghi è il vostro governo e che il Pd deve esserne il motore, un po’ come se dovesse ritrovare il coraggio delle sue idee, dopo anni in cui ha fatto la pianta grassa. Insomma, questa relazione può ricominciare, ma solo nell’orizzonte dell‘occidente liberaldemocratico. Basta populismi di destra e basta populismi di sinistra. Sì al voto ai sedicenni, sì allo ius soli.
La rielezione di Enrico Letta
Il Pd ti ha ascoltato e ti ha riaccolto in casa con entusiasmo, con soli due voti contrari. Gli va bene tutto, dopo questi anni: da tempo non sentiva parlare di proposte o di contenuti. Bravo Enrico, hai avuto il coraggio di dire al Pd cose che al Nazareno non si sentivano più da un bel po’, con la scusa del “Eh, ma la pandemia”, “Eh, ma la crisi”, “Eh, ma la stabilità del Paese”. Hai avuto l’audacia di dire al grande amore che ti ha lasciato male sette anni fa che è lui a dovere cambiare, che tu puoi solo dargli una mano e che deve smetterla di nascondersi dietro a un dito.
Il pericolo dei facili entusiasmi
Il problema, però, come in qualsiasi minestra riscaldata, è sempre lo stesso, caro Enrico. La storia dello ius soli, sacrosanto in un Paese degno di essere chiamato tale, si tira fuori tutte le volte, da dieci anni almeno, a sinistra. È mai stato fatto? Ehm, no. C’è sempre qualcosa di “più urgente”. Adesso, Enrico, siamo ancora nella fase dei facili entusiasmi, tanto più grandi quanto più grigio e piatto è il periodo da cui si viene. Il Pd scoppia di gioia al solo pensiero che tu abbia accettato di tornare, ma non sarai tu a tirar fuori il partito dallo stallo in cui, democristianamente, ha deciso di stare negli ultimi anni, con la compiacenza di una direzione che non ha voglia di sporcarsi le mani. Bastano, per risolvere quello che è un problema di identità, la forza e la buona volontà di un singolo? Basti tu, se il Pd cadrà di nuovo nei vizi di un tempo, a salvarlo? Cambia il segretario, infatti, ma il Partito rimane quello, eh, con le sue correnti, le sue contraddizioni e, non da ultimo, i suoi rappresentanti in parlamento.
Buona fortuna, Enrico Letta. Auguriamoci che il Pd non ti sprechi un’altra volta.
Elisa Ghidini