Eni e Mondedison: veleni nei mari italiani!

Arsenico presente, mercurio presente, Stato assente. Ecco il vaso di Pandora nostrano certificato anche dall’Ispra e dal ministero dell’ecologia. Due ex multinazionali tricolore per decenni hanno affondato impunemente, anzi con l’autorizzazione del governo italiano, i loro rifiuti industriali nel Mediterraneo: Mar Adriatico, Mar Jonio e Mar Tirreno. Le navi Isola Celeste ed Irene, ma non solo, hanno scaricato per anni le scorie del petrolchimico Anic-Enichem di Manfredonia, tra il Gargano e le Isole Tremiti, come ha accertato un processo a Foggia, dimenticato in fretta e senza ribalta mediatica. Nel 1979 effettuavo con i miei amici le prime immersioni subacquee alle Diomedee. Proprio in quel luogo meraviglioso, notammo chiazze in mare che allungavano i loro tentacoli per miglia. Eravamo solo dei ragazzi cresciuti troppo in fretta e nessuno ci diede retta. Poi, dopo ho capito che al peggio non sembra esserci fine in una colonia di sudditi e cavie.

Nel 1988 il ministro dell’ambiente Giorgio Ruffolo, rilasciava ancora licenze per inquinare il nostro mare, nonostante le morie di cetacei nell’Adriatico, mentre il governo De Mita organizzava in gran segreto l’operazione navi dei veleni. Ricordate ad esempio, la portarinfuse tedesca Deep Sea Carrier di ritorno dalla Nigeria con un carico di scorie pericolose made in Italy? Nel sottosuolo dell’area industriale di Macchia in agro di Monte Sant’Angelo, ma ai confini con Manfredonia, esattamente nelle gigantesche cavità naturali che dalla terra sfiorano il mare in loalità “Chiusa dei Santi” (nei 30 ettari acquistati dall’Enel), l’Eni ha realizzato una gigantesca discarica sotterranea e segreta di spazzatura industriale assolutamente letale. Le conseguenze sanitarie? Mai valutate. Le bonifiche ambientali? Mai realizzate nonostante gli ingenti finanziamenti pubblici. Perché la magistratura non indaga sulla Syndial e sui politicanti locali e nazionali che sono andati a nozze? Perché la gente del luogo non si ribella una buona volta come nel 1988?

 

Gianni Lannes

Exit mobile version