Produrre calore utilizzando l’energia elettrica è facile, lo facciamo continuamente anche se non è il più economico dei modi per riscaldarsi o cuocere qualcosa, il processo inverso, produrre energia elettrica dal calore è molto più complicato.
Ora alcuni ricercatori dei Sandia National Laboratories danno notizia di esserci riusciti e lo documentano con un articolo scientifico pubblicato su Physical Review Applied.
I Sandia National Laboratories sono un’agenzia governativa; in realtà sarebbero dei contractor privati ma dipendono dal Department of Energy’s National Nuclear Security Administration (NNSA), che si occupa di sicurezza nucleare e di studiare nuovi modi per la produzione di energia che giustamente negli USA viene considerata materia di sicurezza nazionale.
Il procedimento è abbastanza complesso, lo illustrerò per sommi capi, ma i dati più interessanti sono che: 1) il tutto è stato realizzato con materiali non nuovi, è il modo in cui sono stati impiegati che è nuovo; 2) quando parliamo di calore non parliamo di enorme calore, parliamo di una temperatura moderata, sono gli infrarossi emessi da un corpo caldo equivalenti ad esempio al calore che va sprecato nel funzionamento di un motore, quella è la quantità di calore di cui ai ricercatori interessava sapere se potesse essere convertita in energia elettrica.
Applicazioni? Infinite, pensate a un’auto ibrida che produce l’elettricità per il motore elettrico dal calore di quello a scoppio. Non ci siamo già, questa ricerca viene definita da Paul Davids, l’autore principale dello studio, un primo passo in quella direzione.
Per chi si intende di fisica: alla base della produzione di energia c’è un fenomeno chiamato effetto di rettificazione elettrica che genera una corrente elettrica continua dal movimento asimmetrico degli elettroni tra due parti del dispositivo.
Ma com’è fatto questo dispositivo? Si tratta di un dispositivo molto piccolo (un quadrato di poco più di 3 mm di lato e spesso come una moneta da 10 cent USA, che secondo la fida enciclopedia online è 1,35mm) composto da una parte superiore di alluminio, fatta di minuscoli filamenti che funzionano da antenna che cattura gli infrarossi (cioè il calore), una parte fatta di silicio e tra le due uno strato sottilissimo, ma davvero sottilissimo, uno spessore di 20 atomi, di diossido di silicio. L’antenna incanala gli infrarossi nel sottile strato di diossido di silicio, gli infrarossi intrappolati vengono rimandanti verso l’alluminio e questa oscillazione avanti e indietro produce corrente elettrica continua per rettificazione.
Proprio perché i ricercatori hanno utilizzato componenti comuni nell’industria elettronica il dispositivo sarà facilmente scalabile, ma nella realizzazione di facile non c’è stato nulla, ho premesso che avrei dato una semplice spiegazione del funzionamento, ma i ricercatori hanno dovuto superare una marea di problemi tecnici, per dirne uno: il silicio normalmente non rifletterebbe gli infrarossi indietro, hanno dovuto inventare un modo per “drogarlo”.
Un altro dei punti di forza del dispositivo è che non avendo bisogno di toccare la fonte di calore perché funziona con un’antenna che cattura infrarossi, si riduce il rischio di rottura per usura.
Fonte immagine: share-ng.sandia.gov
Roberto Todini