L’endometriosi è una malattia cronica ancora in gran parte sconosciuta, nonostante le varie campagne di sensibilizzazione. Sono tantissimi i medici che non la prendono ancora in considerazione nel ventaglio delle ipotesi diagnostiche. Parlare di endometriosi e discriminazioni è necessario.Questo perchè, a parte le solite stime riguardanti in prevalenza le donne, l’accesso ad una corretta diagnosi e ai trattamenti adeguati non è uguale per tutt*.
In Italia è ancora molto difficile parlare di endometriosi e discriminazioni. Manca completamente un quadro di analisi riguardo le persone LGBTQIA+, le persone con disabilità e/o neuroatipiche, immigrate e/o razzializzate. La ricerca propriamente scientifica è ancora sottosviluppata in questo ambito, soprattutto in Italia. Mancano dati su tanti altri aspetti sui quali la malattia va impattare: lavoro, relazioni familiari, di coppia e vita sociale. Mancano dati su endometriosi e discriminazioni in campo medico e sulle violenze ginecologiche. Questo a dimostrazione di quanto il linguaggio e l’approccio medico siano ancora lontani dall’essere inclusivi rispetto alle differenze di ciascuna persona.
Cosa è l’endometriosi e come si manifesta
L’endometriosi è una malattia cronica originata dalla presenza anomala del tessuto che riveste la parete interna dell’utero, chiamato endometrio, in altri organi come le ovaie, la tube, il peritoneo, la vagina e talvolta anche l’intestino e la vescica. E tutti i mesi, sotto gli effetti del ciclo mestruale, il tessuto impiantato in sede anomala va incontro ad un sanguinamento interno. Questo dà origine a cisti, infiammazioni croniche degli organi nei quali si impiantano questi focolai, cicatrici, aderenze e, in alcuni casi anche l’infertilità.
L’infiammazione di questi tessuti incide pesantemente sulla qualità di vita. Inoltre capita sempre che questi dolori vengano associati o attribuiti alla sindrome del colon irritabile o a stress.
Troppo frequentemente si arriva in visita ginecologica portando come sintomi dolori fortissimi durante la fase dell’ovulazione oppure dolori che si acutizzano fortemente nella fase mestruale (dismenorrea) o durante i rapporti sessuali (dispaurenia). A questi sintomi si aggiungono anche il disagio rettale e i dolori pelvici di vario tipo, che possono comunque essere causati da tantissime disfunzioni e questo rende complicata la loro diagnosi. Data la scarsa informazione sull’ endometriosi, la diagnosi può arrivare dopo lunghissimo tempo, comportando un impatto psicologico, spesso devastante. Quindi il primo passo per una corretta diagnosi è quello di rivolgersi ad un centro specializzato.
Endometrosi e discriminazioni sulla comunità LGBTQIA+
In Italia ci vogliono circa 10 anni per ottenere finalmente una diagnosi di endometriosi. Spesso si finisce per cambiare tanti ginecologi, a volte si passa anche per altre tipologie di specialisti. Molto frequentemente ci si sente dire che non si tratta di una malattia vera e propria e che sia frutto della propria immaginazione. Non è difficile immaginare che questo processo possa essere ancora di più travagliato per una persona transgender o queer. Alcune persone rinunciano alle cure dopo numerose esperienze negative, altre non rivelano la propria identità di genere per paura di essere discriminat* o deris*
Il rapporto “Endometriosis in the UK: time for change” riporta i dati rispetto all’endometriosi nella comunità LGBTQIA+ che risalgono al 2017 e che fanno emergere un quadro impossibile da ignorare. Una persona LGBTQIA+ su quattro ha assistito a commenti discriminatori da parte del personale sanitario. Una persona della comunità su otto ha subito un trattamento inadeguato così come 1/3 delle persone trans. Una persona non binaria su cinque e le persone disabili LGBTQIA+ (entrambe il 20%) hanno sperimentato queste esperienze in una sola volta. Allo stesso modo, una persona LGBTQIA+ su cinque appartenente a comunità razzializzate ha vissuto questa esperienza. Tre persone trans su cinque hanno detto di aver sperimentato una mancanza di comprensione delle proprie specifiche esigenze sanitarie da parte del personale sanitario.
Il nostro sistema sanitario nazionale è ancora incentrato sul binarismo di genere
Un altro studio del 2020 “Dysmenorrhea and Endometriosis in Transgender Adolescents” è emerso che su 35 adolescenti transgender con dismenorrea, sette pazienti sottopost* a laparoscopia, tutt* e sette avevano endometriosi. Inoltre, due pazienti su cinque con endometriosi che avevano iniziato il trattamento con testosterone, hanno continuato ad avere una persistenza dei sintomi. Questo nonostante il trattamento combinato di testosterone e progesterone. Inoltre, più della metà delle persone facenti parte dello studio hanno abbandonato l’utilizzo della contraccezione orale per la gestione dei sintomi della dismenorrea. Il motivo principale è stato la persistenza dei sintomi e anche l’aumento della disforia causata dal dolore al seno. Nonché dall’utilizzo di terapie anticoncezionali che sono pensate per le donne cisgender.
Risulta importante che tutto il sistema sanitario sia adeguatamente formato in modo da non rimanere all’interno di una logica binaria, in quanto induce molte persone ad avere paura di chiedere assistenza. Difficile è anche trovare ginecolog* che non basino i loro colloqui sulla base degli stereotipi di genere: si dà spesso per scontato che la persona che si rivolga al ginecologo sia una donna, così come si dà per scontato che la paziente abbia un compagno e che desideri dei figli. Infine, la sessualità viene intesa ancora come rapporto penetrativo, senza pensare al fatto che ci sono altri modi di sperimentare la sessualità.
Endometriosi e discriminazioni, tra razzismo e classismo
Negli anni ’70 e ’80, complice la disinformazione della stampa popolare, prese piede che l’endometriosi fosse una condizione esclusiva delle donne in carriera che non davano priorità alla famiglia. Per non parlare del fatto che la maggior parte della ricerca sull’endometriosi era e continua ed essere incentrata esclusivamente su donne bianche. Non sono infrequenti ancora oggi in tutto il mondo episodi razzisti e classisti nell’ambito medico sul tema dell’endometriosi. Con la differenza che in Italia il razzismo e il classismo sono problematiche talmente radicate all’interno delle istituzioni che si preferisce non trattarle, a maggior ragione quando si parla di endometriosi.
Secondo un estratto della traduzione del podcast di tightlippedpod nel 2019, la dottoressa Bougie ha condotto una revisione della letteratura medica, rivelando che le pazienti nere hanno solo la metà delle probabilità di ricevere una diagnosi di endometriosi rispetto alle pazienti bianche. Alle donne viene ancora detto che hanno avuto un ruolo nello sviluppo della patologia attraverso le loro pratiche, i loro comportamenti. E ci sono ancora sfumature razziste e classiste in quel linguaggio.
Endometriosi e discriminazioni: tabù sulla salute mentale
In Italia è ancora un tabù parlare di salute mentale. Solo recentemente si è iniziato a parlare della sofferenza psicologica di chi soffre di endometriosi. Quando si soffre di questa malattia cronica raramente si viene creduti e manifestare il proprio disagio all’interno delle relazioni sociali e nei luoghi di lavoro corrisponde ancora ad un’esagerazione. La paura di non trovare una soluzione, di continuare a stare male, di non essere compresi, aumenta i livelli di ansia e di depressione. Per non parlare dello stravolgimento che si ha sulla vita sociale e relazionale.
Inoltre non sono pochi i casi accertati di suicidi nel mondo a causa dell’endometriosi, mentre in Italia il suicidio è uno di quegli argomenti di cui non si parla affatto. Eppure il problema esiste ed è reale. Sottovalutare il dolore delle persone, trattarle come numeri, addossare alla persona la responsabilità della propria condizione è un’aggravante da parte delle istituzioni che pesa sulla salute mentale di chi sta soffrendo. Prendersi cura della salute mentale rimane ancora un lusso poiché il supporto psicologico non è previsto nella maggior parte dei centri del SSN per endometriosi.
Roberta Lobascio