Encomio di Elena: la parola e le ragioni del torto

Encomio di Elena: in questo discorso, il sofista Gorgia stravolge ciò che credevamo di sapere su una delle figure più odiate della mitologia.

"L'amore tra Paride ed Elena", J.L. David, 1788, olio su tela.

Elena di Sparta, nota anche come Elena di Troia, è la grande adultera e la gran maledetta della letteratura greca. Fuggita con Paride, ricade su di lei una parte notevole della responsabilità della sanguinosissima guerra di Troia cantata nell’Iliade. Vergogna per la sua famiglia e premio amarissimo per il fratello minore di Ettore, come provare simpatia per lei? Eppure, secondo Gorgia, quest’odiatissima figura della mitologia sarebbe da compatire anziché da biasimare. Proprio nell’Encomio di Elena il sofista avversario di Platone chiarisce perché, fornendo un compendio della propria filosofia.

I nostri, è un fatto, sono tempi di vituperi verbalmente crudi e diretti. A ben poche ragazze, di conseguenza, capiterà di sentirsi dare dell'”Elena di Troia”, essendo disponibile ben altro lessico. Eppure, la grande adultera della letteratura greca, colei che cornificò Menelao con Paride scatenando una guerra cruentissima, sembrerebbe il personaggio ideale per addossare uno stigma. O forse no. Forse, dalla parte di Elena stanno più ragioni di quante ne potremmo immaginare. Questa, quantomeno, è l’ipotesi di Gorgia da Lentini, che nel V secolo a. C. alla donna più odiata della Grecia dedicò un discorso celeberrimo. Si tratta, naturalmente, dell’Encomio di Elena: un testo che difende l’apparentemente indifendibile giocando col potere della parola. Vediamo come.




Encomio di Elena: un discorso per amor di verità?

Nell’esordio dell’Encomio di Elena, Gorgia si pone insieme come l’avvocato della donna e il paladino della verità. Infatti, scrive il sofista,

è sbagliato e da sciocchi rimproverare ciò che bisognerebbe lodare e lodare ciò che si dovrebbe biasimare. Ed è dovere dello stesso uomo dire rettamente ciò che si deve e confutare quelli che rimproverano Elena […]. Io voglio, allora, ragionando e discutendo, liberare dall’accusa questa donna diffamata. E dimostrare che i suoi avversari dicono il falso, mostrare il vero e portare chiarezza.

L’intento dichiarato dal sofista è molto nobile, senza dubbio, ma quanto è sincero? Per scoprirlo occorre attendere l’ultima frase del testo:

Ho voluto scrivere questo discorso, per Elena encomio, per me gioco.

Si tratta, dunque, solo del gioco – diciamocelo, pure un po’ subdolo e ozioso – di un professionista dell’arte oratoria? Non proprio.

Le ragioni del torto

Gli argomenti a favore di Elena sono quattro. Il volere degli Dei e della Necessità, la violenza, il potere persuasivo della parola, l’amore; non tutti, però, hanno lo stesso peso. Il primo argomento è presto liquidato dal sofista puntualizzando la sproporzione tra le forze umane e quelle degli Dei e della Necessità. Anche sul secondo Gorgia non indugia: se fu Paride a rapire Elena, sarebbe giusto che a lui soltanto toccasse la vergogna. Perché, infatti, oltre al danno, Elena dovrebbe portare su di sé anche il marchio d’infamia? La stessa sorte, infine, tocca anche all’ultimo argomento, l’amore. A proposito di questo, Gorgia riflette:

Se l’amore è un dio, come potrebbe chi è inferiore agli Dei difendersi dalla sua potenza divina? E se, invece, è una malattia tutta umana che acceca l’anima, allora non dovrebbe essere considerato una colpa. Perché venne come venne, da solo, con i lacci che catturano l’anima e non con le decisioni della mente.

La parte del leone, invece, nel discorso di Gorgia spetta alla disamina della parola e del suo potere persuasivo. Elena andrebbe compresa e compatita, argomenta infatti il sofista, perché

il discorso è un signore potente, che con un corpo piccolissimo e del tutto invisibile compie le azioni più divine. Infatti, può far cessare la paura, eliminare il dolore, infondere la gioia, far crescere la compassione.

L’Encomio di Elena, qui sta il punto, può essere un gioco, un virtuosismo. Non sarebbe neppure un’idea nuova, a dire il vero. Infatti, ci aveva già pensato prima il poeta Stesicoro, che in un’elegia immaginava fosse un fantasma, non la vera Elena, a essere fuggita col troiano. Eppure, allorché si tratta del potere della parola, la faccenda diventa maledettamente seria. Perché è allora che ci si ritrova al cuore del pensiero di Gorgia.

La parola, la realtà e il seme del dubbio

Come concettualizza Gorgia nell’Encomio di Elena il potere del discorso?

Tra la potenza del discorso e la disposizione dell’anima intercorre lo stesso rapporto che tra la prescrizione dei farmaci e la natura del corpo. Infatti, tra i farmaci alcuni ripuliscono l’organismo, altri arginano la malattia e altri ancora pongono fine alla vita. Ugualmente, certi discorsi procurano dolore, altri piacere, altri paura, altri preparano a essere coraggiosi. Alcuni discorsi, del resto, con una malvagia persuasione, avvelenano l’anima, la irretiscono, la stregano.

In effetti, non c’è cosa – sembra affermare Gorgia nella sua argomentazione – che un discorso ben formulato non possa riuscire a fare. Anche perché, come aveva dimostrato (forse in chiave ironica) confutando Parmenide nel saggio Sul non essere, la realtà dei fatti potrebbe costituire un argine sottile. Precursore del relativismo etico fin quasi al nichilismo secondo alcuni, cinico teorizzatore della morale della situazione secondo altri, il sofista è per tutti uno scettico. Qualcuno per il quale, come sarebbe stato per Wittgenstein, i limiti del linguaggio e i limiti del proprio mondo sfumano gli uni negli altri. Qualcuno per il quale la vicenda di Elena non può, in ultima analisi, non costituire una ghiotta sfida. Non tanto e non solo per il gusto di scandalizzare, quanto per far nascere un dubbio che ancora oggi riesce a risultare piuttosto inquietante. E se le storie che hai sempre creduto di conoscere e su cui avevi una precisa opinione non fossero proprio come te le avevano raccontate?

Valeria Meazza

Exit mobile version