Le emozioni giocano un ruolo fondamentale nella vita di tutti noi. Si è soliti pensare alle emozioni come contrapposte alla ragione, come se le emozioni compromettessero il pensiero razionale. In realtà le emozioni giocano un ruolo fondamentale nei processi di presa di decisione. Risultano dunque essenziali per evitare di rimanere in una situazione di stallo perpetuo. Se dunque le emozioni sono così importanti, come possono non esserlo anche per ciò che riguarda il contesto lavorativo, in cui passiamo gran parte della nostra giornata? Infatti lo sono. Vediamo assieme in che modo.
Perché studiare le emozioni nel contesto lavorativo?
Sebbene si possa intuire l’importanza delle emozioni nei contesti lavorati, questo argomento non è stato approfondito a dovere. Questo lascia sicuramente con l’amaro in bocca, specialmente se si considerano gli effetti che possono avere sui lavoratori, portando a una serie di comportamenti organizzativi controproducenti nonché a un’azienda che non capisce i propri dipendenti. Per colmare questo gap, una nuovissima review sistematica ha provato a far luce sul ruolo delle emozioni nei contesti lavorativi.
Una definizione di “emozioni”
Prima di addentrarci nel mondo del lavoro, sarà bene chiarire cosa si intende per “emozione”, parola-ombrello utilizzata per riferirsi a ben quattro termini spesso usati come sinonimi: emozioni (emotions), affetto (affect), umore (mood) e sentimenti (feelings). Gli autori definiscono l’emozione come un insieme di stimoli esterni e interni diretti a uno specifico sistema neurale, insieme che porta a manifestazioni esterne e interne. Questa review, affronta l’argomento basandosi sul modello a cinque livelli delle emozioni nelle organizzazioni di Ashkanasy (che è uno dei due autori della ricerca).
Livello 1: variazioni intra-individuali
Questo livello include i processi neurofisiologici che inducono le manifestazioni psicologiche delle emozioni che determinano il funzionamento cognitivo. Parliamo dunque di qualcosa che avviene fondamentalmente a livello inconsapevole.
Livello 2: variabilità inter-individuale
Questo secondo livello fa riferimento alle differenze individuali. La variabile principalmente studiata a questo livello è quello dell’ormai nota intelligenza emotiva, cioè la capacità di riconoscere le proprie e altrui emozioni, sapendole gestire e utilizzare insieme alle informazioni che ne derivano quando si prendono le decisioni, comprendendo l’effetto di tali emozioni.
Livello 3: relazioni interpersonali
Questo livello riguarda come le emozioni sono percepite e comunicate in interazioni a due tra dipendenti della stessa organizzazione. Quindi, ci si concentra sul modo in cui i lavoratori regolano le proprie emozioni anche in relazione alle cosiddette display rules (di cui avevamo già parlato in questa occasione).
Livello 4: gruppi
Questo quarto livello si concentra sui gruppi e sui team di lavoro. Conseguentemente, non ci si può non soffermare sul tema della leadership (che avevamo approfondito in quest’altra occasione). Nello specifico, ci si concentra sul modo in cui un leader dovrebbe gestire le emozioni all’interno di tali contesti (piccolo suggerimento: l’intelligenza emotiva non guasta). Infatti, nei gruppi spesso si verifica quello che viene chiamato contagio emotivo, in cui i membri del gruppo vengono influenzati dallo stato emotivo di uno dei membri (ne copiano i gesti, il tono di voce, ecc.). Ci si aspetta dunque che il ruolo di “untore” venga svolto dal leader e che sia in grado di gestire la spirale emotiva (quando uno dei membri del team influenza il leader, che a sua volta influenzerà gli altri).
Livello 5: organizzazione
Quest’ultimo livello riguarda lo sforzo di creare un clima emotivo positivo (cioè la sensazione di gioia o disagio che si prova entrando in un’azienda) da parte di chi gestisce l’azienda. Questo clima non va confuso con la cultura organizzativa (che riguarda credenze, valori e assunti presenti all’interno dell’azienda) perché ha a che fare con policy e procedure tipiche di questa organizzazione. Questo clima, se improntato all’insicurezza emotiva, porta – per esempio – a conseguenze in termini di sicurezza sul luogo di lavoro.
Quali implicazioni per le organizzazioni?
Come si intuisce facilmente, i livelli si vanno accumulando progressivamente fino al punto in cui il quinto presuppone tutti gli altri. Sulla base di quanto detto, gli autori individuano tre livelli di intervento preventivo. Parliamo di prevenzione:
- primaria – si tratta di eliminare le fonti di emozioni negative (modifica del compito e dell’ambiente lavorativo, creare orari di lavoro più flessibili, evitare ambiguità nelle promozioni, ecc.);
- secondaria – si tratta di “limitare i danni” (individuare rapidamente le situazioni stressanti e insegnare a gestirle);
- terziaria – è rivolta a chi ha subito gli effetti fisici/psicologici dello stress in azienda attraverso programmi di assistenza medico-psicologica.
Arriva ancora una volta la conferma del ruolo delle emozioni nella nostra vita. Cosa ne pensate voi manager, esperti di risorse umane e impiegati? Fatecelo sapere con un commento.
Davide Camarda