A sentir parlare di emotivi anonimi, si pensa subito al film di Jean-Pierre Améris.
Ed effettivamente sono proprio loro, gli emotivi anonimi, la “musa ispiratrice” dell’omonima pellicola francese, insignita del Premio Magritte.
Partita dagli States nel lontano 1971 e diffusasi ben presto anche a casa nostra (oltre che in 35 paesi nel mondo), l’associazione degli Emotivi anonimi funziona sul modello degli Alcolisti anonimi. Una stanza, un gruppo di persone sedute in circolo, un moderatore. C’è qualcuno che vuole e parla di sé, altri ascoltano. No, non l’attaccamento alla bottiglia. Qui si parla di stati d’animo “cronici”, al punto da rappresentare un ostacolo.
Come per gli AA, anche qui ci sono dodici “passi” che scandiscono il percorso terapeutico finalizzato al predominio di sé. Emotivo: “che ha rapporto con l’emozione”. Ma le emozioni, dunque, sono (e vanno trattate come) patologie? In bilico tra un sì e un no come risposta, è opportuno pensare che non sempre le emozioni sono positive e che stati d’animo quali timidezza, rabbia, gelosia, invidia possono essere vissuti con dolore. Vengono intesi come difetti, ci fanno sentire sbagliati. Ci fanno sentire “meno” degli altri. Ci fanno, letteralmente, soffrire.
Sul sito di Emotivi Anonimi Italia si legge che “uomini e donne si riuniscono per condividere esperienze, energie e speranze, allo scopo di risolvere e/o gestire meglio i propri problemi emotivi”. Magari ribaltando la prospettiva!
E’ proprio quando ci paragoniamo all’altro, quando ci sentiamo “difettosi”, il preciso momento in cui la sofferenza interiore si fa più acuta. Le emozioni, anche le più negative, non sono una pianta malata da estirpare. Ci parlano, semmai, della nostra evoluzione interiore. Segnano il passo nel nostro percorso esistenziale. Sono le emozioni che ci dicono chi siamo, cosa vogliamo, cosa NON vogliamo e verso cosa ci dirigiamo. L’emotività è la guida di quel timone che è la nostra mente. Senza di lei infatti la mente girerebbe a caso, senza una direzione, finendo con l’avvilupparsi sui pensieri sparsi.
Alla luce di ciò, mi duole contraddire l’affermata associazione, perché un’emozione anonima è un po’ come un ossimoro. Ben venga il riunirsi per confrontarsi, senza tuttavia uniformarsi. Per accogliere le emozioni, senza demonizzarle. Anche le più brutte! Perché è quando ci si vuole standardizzare, non accettandosi per quel che si è, che inizia il disagio.
Funziona un po’ come con il dolore delle contrazioni di una partoriente in travaglio: se ti irrigidisci, se non “accogli” quel dolore che sai deve arrivare, allora l’intensità della sofferenza raddoppia. Se invece “naturalizzi” il dolore, lo accogli accompagnandolo con tutto il tuo corpo, allora la muscolatura sarà più rilassata, l’intensità minore e soprattutto, saprai che come è venuto, il dolore se ne va. Sofferenza e disagio idem.
Alessandra Maria