Dei molti conflitti moderni alcuni restano sullo sfondo. L’opinione pubblica mondiale sembra essere poco interessata alla morte e alla disperazione quando supera una certa distanza sul contachilometri. Rientra senza dubbio nell’elenco la guerra in Yemen, un’emergenza umanitaria tra le più gravi del momento, dove la lontananza è sinonimo di indifferenza invece che coordinata sulla cartina dell’umanità.
Antefatti storici di un’emergenza umanitaria
L’antefatto del lungo conflitto dalla durata oramai settennale risale al lontano 2011. Momento in cui le proteste della “Primavera araba” segnarono il passaggio di potere dal leader Saleh al suo vice Abdrabbuh Mansour Hadi, vincitore delle successive “elezioni” di cui fu però unico attore protagonista. Il presidente avrebbe dovuto restare in carica solo per due anni con l’obiettivo di creare un governo inclusivo di tutte le numerose fazioni estromesse e discriminate dalla precedente legislazione. Le continue tensioni e crisi che coinvolgevano il Paese impedirono di tener fede alle promesse nei tempi stabiliti; per cui il mandato del premier venne prorogato di un ulteriore ciclo politico.
La riconferma di Hadi non fu particolarmente gradita alle truppe del movimento sciita Houthi. I quali, già da anni in lotta contro il governo centrale per la marginalizzazione e l’isolamento, occuparono varie località della regione. Ha inizio una stagione di scontri con l’invasione della capitale Sanaa e l’esilio di Hadi, che culminerà con lo scoppio di una sanguinosa guerra civile.
Successivi risvolti internazionali
La situazione precipitò definitivamente quando l’Arabia Saudita con il supporto di altri Stati vicini intervenne militarmente per ripristinare il governo precedente. Il timore principale era che il Paese cadesse sotto il controllo degli sciiti, considerata anche la sospetta alleanza con l’Iran, poco auspicabile per la stabilità interna saudita. Dal canto loro gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia sostennero da subito il fronte fornendo supporto logistico e strumentale. Cruciale è stato inoltre il contributo nella coalizione degli Emirati Arabi . I quali, tuttavia, ad oggi sembrano meno interessati alla repressione dei ribelli nel nord, prediligendo prestare supporto ai movimenti per la separazione del sud per egoistici vantaggi economici.
Il conflitto assunse così portata transnazionale subendo un’escalation allarmante. In particolare l’Arabia avviò una campagna aerea sui territori controllati dagli Houthi, in aggiunta al conflitto via terra finalizzata alla repressione degli insorti. Si consuma così una tragedia di portata epocale, un revival della biblica strage degli innocenti messa in scena sul palcoscenico di una terra dimenticata.
Il Paese è al momento più diviso che mai dalla sua nascita relativamente recente. In una partita a scacchi la cui posta in palio è la più grave emergenza umanitaria dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. In uno Yemen ormai biscotto offerto ai potenti, dove si gioca il tiro alla fune più antico del mondo, quello del potere.
Lo Yemen e la sua contraddittoria ricchezza
Situato nella parte sud-occidentale della penisola arabica, è ricchissimo di risorse ma di contrappasso è da sempre molto povero. La percentuale di indigenza assoluta, attorno al 75% senza margini di miglioramento, si è raggiunta a causa del cruento conflitto interno che interessa il Paese. Un rapporto sul Programma di sviluppo delle Nazioni Unite già qualche anno fa, prima dello scoppio della pandemia, dimostrava la preoccupazione per il popolo yemenita, candidato ai primi posti per povertà.
Le Nazioni Unite hanno denunciato nei 7 anni di conflitto trascorsi la morte di più di 370.000 persone sul territorio. Il 60% dei quali per i corollari che la guerra porta con sé: fame e malattie.
La peggior emergenza umanitaria
La condizione dei civili tocca attualmente il livello più basso mai raggiunto dall’inizio delle ostilità. Sono migliaia gli yemeniti costretti ad abbandonare le proprie case, o meglio ciò che ne resta, a causa dei frequenti attacchi e bombardamenti. La speranza iniziale di un conflitto breve ha lasciato da tempo il posto alla paura e allo sconforto per un Paese che sembra aver temporaneamente rinunciato al suo futuro.
Sorgono accampamenti di sfollati sul territorio, tendopoli di sabbia e di disperazione. Oasi di miseria lontane chilometri dai più vicini centri abitati dove scarseggiano sia viveri che bevande. Il nutrimento non è sempre garantito e ci si disseta all’occorrenza con la poca acqua non potabile a disposizione.
Il sistema sanitario è allo sbaraglio, gli ospedali ancora in piedi non sono comunque funzionanti, carenti di strumenti e personale per operare. La situazione assume contorni ancora più drammatici se si considera oltre all’emergenza da Covid 19 (sulla quale per altro i limitati dati a disposizione non sono rassicuranti) anche il dilagare del Colera e di altre gravi epidemie. La mortalità è elevatissima sopra tutto infantile. L’Unicef ha denunciato la morte accertata in media di 4 bambini al giorno. Dati marginali che si ritiene fotografino solo una piccola parte della tragedia in atto.
Responsabilità e crimini di guerra
Senza contare gli orrori commessi nei confronti degli abitanti, colpevoli solo di essere nati sotto la bandiera di un Paese tanto straordinario quanto problematico. Una commissione appositamente nominata in seno alle Nazioni Unite ha accertato l’integrazione di numerosi crimini di guerra commessi durante gli anni del conflitto. Colpevoli delle violazioni del diritto internazionale e internazionale umanitario sarebbero tutte le parti in gioco. In scena o dietro le quinte la responsabilità è solidale. Le braccia militari autrici delle stragi vengono armate e sostenute dai Paesi occidentali, tra cui la stessa Italia che ha ritirato il proprio supporto solo a metà del 2019.
Una complicità che pesa sul dramma in atto di un popolo al limite di ogni umana condizione. La sanatoria successiva di una tragedia in corso è superflua quanto ridicola. Non ha altra utilità che pulire le coscienze di chi muove i fili dell’ennesimo inutile massacro che forse avrebbe potuto essere evitato.
Lo Yemen grida la fallibilità di un sistema di tutela dei diritti umani che fa acqua da tutte le parti fondato sul denaro e sul potere, dove ad essere costantemente profanati sono i valori forse non così inviolabili della società universale.
Sofia Margiotta