Si fa sempre più grave l’emergenza sanitaria in Sudan. Diverse sono le denunce pervenute alle principali istituzioni nazionali e internazionali. Più del 70% delle strutture sanitarie è fuori uso, di cui la maggioranza situate nella capitale Khartoum. Inoltre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente dichiarato di aver valutato un “rischio moderato” di una guerra biologica, dopo che una delle parti in conflitto, non meglio specificata, si è appropriata di un laboratorio che conserva agenti patogeni come il colera e il morbillo.
È in corso una grave emergenza sanitaria in Sudan, causata dalla guerra civile iniziata il 15 aprile. Mancano beni di prima necessità come acqua, cibo, elettricità e farmaci. La mancanza di forniture e personale sanitario impedisce di far funzionare le strutture sanitarie.
Già prima degli scontri il Paese era fortemente dipendente dagli aiuti. Le Nazioni Unite stimavano che circa un terzo della popolazione sudanese avesse bisogno di assistenza. Il conflitto in corso, che per ora ha ucciso più di 500 persone e ferito altre 4500, ha peggiorato la situazione e ha spinto la Nazione sull’orlo del collasso. Ospedali e altre strutture che forniscono servizi essenziali sono paralizzati. Le Nazioni Unite avvertono che se le violenze non dovessero cessare, ci sarà un alto rischio che il sistema sanitario collassi completamente.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha stimato che più di 800mila persone, che attualmente si trovano in Sudan, potrebbero scappare nei Paesi vicini. Gli sfollati interni per ora rappresentano un numero che si avvicina a 350mila.
Il rischio biologico
L’OMS ha avvertito che in Sudan c’è un alto rischio biologico dopo che il laboratorio nazionale di sanità pubblica della capitale è stato occupato dalle forze militari. Non è chiaro quale delle due parti in conflitto ci sia dietro tale occupazione. Gli operatori del laboratorio sono stati allontanati e la mancanza di corrente elettrica sta rendendo impossibile la corretta gestione del pericoloso materiale conservato nella struttura.
Funzionari sudanesi hanno dichiarato che all’interno del laboratorio sono custoditi diversi agenti patogeni potenzialmente mortali come quelli del morbillo e del colera, che se si dovessero diffondere minerebbero ancor di più la già drammatica emergenza sanitaria.
Il rischio biologico si è innalzato anche a causa dei numerosi feriti e cadaveri sparsi per le strade di Khartoum, che accrescono la possibilità di diffusione del colera. Questo è quanto denunciato dai medici sudanesi, i quali hanno dichiarato inoltre che i casi di malattie gravi sono aumentati perché la mancanza di acqua potabile ha spinto le persone a dissetarsi direttamente dal Nilo.
Gli ospedali al collasso stanno scatenando un’emergenza sanitaria in Sudan
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo il 16% degli ospedali della capitale sudanese funziona a pieno regime. Sedici strutture sanitarie sono state sottoposte a bombardamenti mentre altre diciannove sono state evacuate con la forza delle parti in conflitto, alcuni per essere utilizzate per i loro scopi militari. Anche le ambulanze sono prese di mira.
I medici sudanesi dichiarano che oltre il 70% degli ospedali nelle aree degli scontri armati non sono in funzione. Altri, invece, sono in grado di fornire solo servizi di base a causa della mancanza di forniture di beni di prima necessità. Anche la mancanza di operatori sanitari è complice della difficile situazione: per esempio, nell’ospedale Al Ban Jadid di Khartoum lavorano attualmente solo otto persone, contro uno staff di almeno 400 in tempi normali.
Il sindacato dei medici sudanesi ha affermato di non aver ricevuto alcun sostegno dal Governo del Paese, mentre il Ministero della Salute sembra irreperibile.
I prezzi del carburante sono aumentati vertiginosamente e reperirlo è difficilissimo . Gli ospedali ne hanno bisogno per far funzionare generatori di elettricità e pompe dell’acqua, senza i quali non è possibile fornire alcun tipo di assistenza sanitaria.
Se le violenze non cessano, c’è il rischio che il sistema sanitario collassi.
Queste le recenti parole delle Nazioni Unite.
Spiragli di positività
I vertici delle due parti in conflitto, Abdel Fattah Al-Burhan, capo dell’esercito sudanese, e Mohamed Hamdan Dagalo, capo dei paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rfs), avrebbero concordato un cessate il fuoco di una settimana a partire dal 4 maggio. C’è da vedere cosa accadrà, in quanto tutte le tregue finora dichiarate non sono mai state rispettate.
Volker Perthes, rappresentante delle Nazioni Unite per il Sudan, ha dichiarato che Al-Burhan e Dagalo si sarebbero resi disponibili ad avviare un negoziato, probabilmente in Arabia Saudita. Avvertendo che ci saranno difficoltà a raggiungere un accordo, Perthes ha inoltre affermato che i primi colloqui saranno volti a stabilire un cessate il fuoco permanente. Tali colloqui sarebbero il primo segnale positivo dall’inizio del conflitto. Attendiamo.