Ci vorrebbero almeno 4,5 miliardi di investimenti per raggiungere gli standard europei e far rientrare la grave e disomogenea emergenza rifiuti del nostro paese.
A confermarlo è uno studio secondo il quale tra circa tre anni per il 21% dei rifiuti domestici non ci sarà più spazio in Italia. Un dato, quest’ultimo, emerso da una media nazionale che nasconde le importanti disuguaglianze tra Nord e Sud. Infatti, nel Mezzogiorno il collasso sarà raggiunto probabilmente tra un anno e mezzo, mentre le altre regioni dovrebbero resistere altri 4-5 anni. Ad ogni modo, questi numeri descrivono un’emergenza rifiuti grave verso la quale c‘è bisogno di provvedimenti drastici sul piano economico, politico e sociale.
“Da Nimby a Pimby, Economia circolare come volano della transizione ecologica e sostenibile del Paese e dei suoi territori”.
È il titolo dello studio realizzato da The European House – Ambrosetti” , in collaborazione con A2A, per valutare la capacità residua delle discariche italiane. Stando ai risultati, annualmente vi entrano circa 17,5 milioni di tonnellate di rifiuti tra urbani e speciali, un dato che, seppur in calo rispetto al 2019 (20,9%), è comunque troppo alto. Infatti, l’Italia è lontana sia dall’obiettivo europeo del 10% entro il 2035 sia dai cosiddetti paesi modello, quali Svizzera, Svezia, Germania, Belgio e Danimarca (0,7%). In pratica, ogni anno un singolo cittadino italiano produce circa 106 kg di rifiuti da conferire in discarica, superando ampiamente il totale complessivo spedito dalla sola Germania.
Un’Italia divisa
L’inconfutabile divario tra Nord e Sud contribuisce notevolmente ad allontanare l’Italia dall’Europa. Infatti, nella nostra penisola ci sono alcune regioni, come la Lombardia e l’Emilia Romagna, che ricorrono molto meno alle discariche (5,2%), rispetto ad esempio alla Sicilia (58%). Purtroppo, tale quadro fortemente differenziato a livello regionale complica ulteriormente la possibilità non solo di raggiungere i best-performer europei, ma anche di avvicinarsi agli obiettivi fissati dal Circular Economy Package per il 2035.
Da Nimby a Pimby, un cambiamento culturale
Conosciuta con il nome di “Not In My Back Yard”, la sindrome NIMBY descrive la preferenza dei cittadini a posizionare gli impianti il più possibile distanti dai luoghi dove si vive la quotidianità. Ampiamente diffusa in Italia, tale mentalità rallenta la realizzazione delle infrastrutture di smaltimento, aggravando di fatto l’emergenza rifiuti sulla penisola. Infatti, il Codice degli Appalti prevede il “Dibattito Pubblico”, la cui messa in essere dilata inevitabilmente i tempi burocratici per la realizzazione. A tal proposito, sarebbe necessario un passaggio al PIMBY, “Please In My Back Yard”, al fine di meglio valorizzare le potenzialità dell’economia circolare.
Il Mondo intero sta consumando troppe risorse naturali, troppo velocemente, e parallelamente continua a produrre rifiuti. Ma mentre in Italia fa fatica ad affermarsi una visione di crescita impiantistica, altri Paesi accelerano sul riciclo e sviluppano impianti di recupero energetico”.
Con queste parole Marco Patuano, Presidente di A2A, sottolinea la necessità di cambiare il prima possibile l’approccio al Dibattito Pubblico, facendolo gestire a persone con un adeguato grado di competenza sull’argomento.
La spinosa questione degli impianti
Per ridurre drasticamente la gravità dell’emergenza rifiuti che vive oggi il nostro paese, sarebbe opportuno rivedere lo sviluppo impiantistico. Ad oggi, il riciclo e il recupero energetico sono due strategie ottimali per gestire i rifiuti in modo sostenibile, ma l’Italia fatica ad adeguarsi. Trai il 2010 e il 2019, in alcuni stati europei si sono osservate sia una riduzione del ricorso in discarica (dal 38% al 24%) sia un incremento dell’utilizzo degli impianti di recupero energetico (dal 22% al 27%). Tali risultati hanno permesso a ben dieci paesi di ridurre il conferimento in discarica sotto il 5%, nonché una quota di recupero energetico superiore a quella italiana (45% vs 19,6%).
La FORSU
Anche detta Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano, la FORSU raccolta in Italia sfiora i 7,3 milioni di tonnellate, dei quali solo 3,3 milioni sono trattati tramite metodi avanzati, che permettono il recupero di materia (compost) ed energia (biogas). Tuttavia, per raggiungere i target europei, andrebbe raccolta tutta la frazione e costruire dai 31 ai 38 impianti, soprattutto nelle regioni del Centro-Sud.
Un investimento economico notevole, circa 1,3 miliardi di euro, che, però, permetterebbero di produrre ulteriori 253 milioni di metri cubi di biometano e 630mila tonnellate di compost.
Emergenza rifiuti ed emissioni di CO2
Una migliore gestione dei rifiuti urbani porterebbe giovamento all’ambiente anche in relazione alle emissioni di gas serra, nello specifico la CO2. Infatti, si ridurrebbe di un 3,6 milioni di tonnellate (20%) l’apporto di biossido di carbonio proveniente dalle discariche. Inoltre, ulteriori 0,1 milioni di tonnellate sarebbero risparmiati tramite il recupero energetico dei fanghi di depurazione. In totale, ci sarebbe un risparmio netto di 3,7 milioni di tonnellate di CO2 rispetto al conferimento in discarica.
L’economia circolare rappresenta una priorità nazionale. Una gestione virtuosa dei rifiuti produce benefici concreti: tutela l’ambiente e migliora la qualità della vita delle persone, offre un contributo alla transizione energetica e valorizza le risorse locali e l’indotto a beneficio dei territori.
In genere l’economia circolare è descritta come un moderno modello economico, secondo il quale il ciclo dei materiale e delle risorse deve essere chiuso. Infatti, i due principi alla base del meccanismo sono la rigenerazione e la valorizzazione dei processi. Tale visione si fonda su quattro elementi:
- input sostenibili, quali energie rinnovabili e materiali riciclabili;
- fine vita, ovvero il recupero del valore dei beni tramite riutilizzo e riciclo;
- estensione della vita utile, sia di prodotti sia di servizi;
- aumento dell’intensità di utilizzo.
In questo contesto la gestione rifiuti si inserisce nel discorso del “fine vita”, in quanto il rifiuto non deve essere più visto come uno scarto, ma piuttosto come un elemento da valorizzare.
Le discariche abusive, una piaga del nostro paese
Quanto l’Italia sia lontana dal target europeo è stato sottolineato più volte. Questa lentezza ha diverse motivazioni, tra cui non ultima la delicata questione dell’abusivismo. Purtroppo, nel 2014 la nostra penisola è stata costretta a pagare circa 300 milioni di euro in sanzioni europee legate alla presenza di discariche abusive sul territorio. Fortunatamente dal 2017, molte sono state già bonificate e si spera di concludere il processo entro il 2023; tuttavia, queste opere richiedono tempo e investimenti economici che non possono quindi essere impegnati in altri programmi.
Il tempo della decrescita è dunque arrivato! La società della frugalità per scelta, che deve emergere dal suo solco, avrà come presupposto quello di consumare meno ma meglio, di produrre meno rifiuti, di riciclare di più. Insomma, ritrovare il senso della misura e un’impronta ecologica sostenibile.
Per decenni siamo cresciuti in una realtà dove il vecchio poteva essere facilmente sostituito con il nuovo senza farsi troppe domande. Attratti dalla novità e poco informati su cosa avrebbe determinato tutto quel disinteresse, troppo a lungo abbiamo evitato una questione che oggi mette a rischio l’ambiente e la qualità della vita. L’emergenza rifiuti è un problema attuale con radici economiche e culturali profonde, spesso molto difficili da sradicare.
Eppure, agire non è più una possibilità, ma la sola scelta per cercare di garantire un futuro al nostro pianeta. E se le istituzioni hanno indubbiamente un ruolo primario e e insostituibile, anche il singolo può fare la differenza, magari cominciando a rivalutare le proprie risorse su una scala fatta di buon senso e senso della misura.
Carolina Salomoni