L’apprendimento, prima di essere definito con teorie e metodologie, è un’avventura. E come tale, esso è fatto di tentativi, di prove, di rischi che a loro volta, possono non condurre ai traguardi prefissati. Ma non per questo, devono essere considerati inutili o negativi: anzi, è proprio l’errore che motiva e sviluppa la capacità di rialzarsi, di riprendersi e di proseguire.
“Sopra ogni altra cosa, le abbiamo insegnato a temere di sbagliare: il fallimento. Quel timore è ciò che ha distrutto il suo amore per l’apprendimento.”
Sono le parole di un’insegnante. Le migliori, quelle meno indolore che la stessa sceglie di pronunciare ai genitori di una ragazzina che frequenta la scuola secondaria di primo grado e che, da un po’ di tempo, sembra essere annoiata e spaventata da tutto ciò che ha a che fare con lo studio e con la scuola. Perché, come sostiene la professoressa, genitori, insegnanti e società tutta, esercitano una sorta di pressione nei confronti di chi vive l’ardua avventura della crescita. Quello che sembra avere importanza, corrisponde al voto, al risultato di fine anno, al superamento dell’esame o all’ammissione al corso di laurea ed è proprio questo che spegne la voglia di studiare che dovrebbe, invece, dipendere dalla curiosità di sapere e dalla trepidazione di crescere, di far proprie capacità e competenze.
Numeri, medie e percentuali sostituiscono emozioni, sforzi e piccole ma significative vittorie. E questo riguarda in modo particolare bambini e bambine, ma non solo. Ed è frustrante, perché è come se nessuno si rendesse conto di ciò che accade prima di ogni passo, prima di ogni spostamento, prima di ogni progresso.
Perché si ricerca la perfezione, che a sua volta non ammette errori.
Già. Non si deve sbagliare. Perché lo sbaglio è sinonimo di limite, di fragilità, di incapacità. E non ci si può permettere di scegliere una strada diversa da quella consigliata, o di tentare, di azzardare, di rischiare, senza la sicurezza che la prova termini con risultati positivi. Non ci si può permettere di metter del proprio, accettando così anche la possibilità che non si raggiunga il traguardo prefissato. Non ci si può permettere di stravolgere proverbi che hanno fatto da sottofondo a generazioni.
E chi l’ha detto che non si può? Chi l’ha detto che “chi lascia la via vecchia per quella nuova, sa quello che lascia e non sa quello che trova”?: può anche essere che chi lascia la via vecchia per quella nuova, decide di farlo perché quest’ultima, più della prima, gli (le) giova, non fosse altro che per la trepidazione del “non si sa cosa accadrà”! Chi l’ha detto che “chi sta con lo zoppo, impara a zoppicare”?: può anche essere che lo zoppo, sostenuto da chi non lo è, trovi equilibrio e coraggio per inventare nuovi modi e tempi, con i quali camminare, con i quali proseguire, con i quali procedere lungo la strada. Chi l’ha detto che “è meglio un giorno da leone che cento da pecora”?: forse l’ha detto chi è attratto più dalla forza e dalla capacità di incutere terrore piuttosto che dalla placida e saggia dote del vivere, dell’agire e del pensare secondo una visione più democratica, più quieta, più silenziosamente efficace. Per non parlare del fatto che il mondo lo hanno migliorato più le pecorelle smarrite che i leoni prepotenti. E se la pecora è anche nera, poi…
Sbagliare, osare, provare: questo è apprendere, questo è vivere. E solo sbagliando, solo ricominciando daccapo, solo rimettendosi al lavoro o in cammino, si può dire, si può credere di essere cresciuti, cresciute. O almeno, di esser pronti, pronte, a farlo.
Per questo motivo, l’errore non è un nemico da cui tenersi alla larga o una tentazione da cui proteggersi: esso è nella creatività di chi non vuole adagiarsi su procedimenti, ricette e indicazioni definite da altri, e sceglie da sé. E chi ha a che fare con le ricette e con la pasticceria lo sa che “non tutte le ciambelle escono col buco”, ma non è detto che queste siano meno buone.
La perfezione che si richiede, che si pretende non fa che infondere l’ansia da prestazione attraverso la quale tutto prende le sembianze di una fredda e scoraggiante selezione: anche la vita stessa. La perfezione ha poco a che fare con la persona e con la sua storia, scolastica ed esistenziale che sia, e non si può farla passare come il solo criterio. Criteri sono le gocce di sudore che hanno bagnato la fronte, criterio è la tensione muscolare, criterio sono le notti in bianco e criterio è il conto in rosso, quando si è perso tutto, quando ci si accorge che ad interessarsi ai propri guadagni, non sono solo le banche ma anche gli amanti della perfezione, quelli e quelle che si credevano compagni e compagne di avventure e di sventure. Criterio è la forza con cui ci si rialza e si riprende il cammino. Criterio è la curiosità con cui i Cappuccetto Rosso di ogni tempo, scelgono la via più difficile, come la chiama De André: la “direzione contraria e ostinata”. Criterio è la caparbietà di non ritenersi mai completamente realizzati né irrimediabilmente spacciati. Criterio è la forza di volontà, di mente e di cuore che coloro che non si arrendono, insegnano. Vivendo. Sbagliando.
Lasciate che i bambini e le bambine sbaglino; concedete loro la possibilità di scoprirsi e di scoprire; date loro fiducia e che la vostra ombra non provochi inquietudine, ma sia di sostegno: quello di cui ciascuno necessita quando si rende conto di aver sbagliato.
Sì. Un elogio all’errore. Un elogio a chi non ha paura di sbagliare e un elogio a chi, nell’errore, proprio o altrui, riesce a scorgere una possibilità, una novità, un’alternativa. Un elogio a chi lascia che i bambini e le bambine sbaglino senza creare in loro delle frustrazioni. Ed un elogio a chi, prima di additare lo sbaglio dell’altra o dell’altro, rivede bene il suo compito, il suo lavoro, il suo cammino. Chissà: magari dallo sbaglio di lei o di lui, c’è solo, e tanto, da imparare.
Deborah Biasco