Eliminazione del reddito di cittadinanza e violenza di genere: tutte le vie della ricattabilità

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Secondo dati Istat, ad oggi in Italia il 38% delle donne che stanno intraprendendo un percorso per fuggire a situazioni di violenza domestica ha subito anche violenza economica e il 60% non ha autonomia finanziaria ( 69% per la fascia più giovane tra i 18 e i 29 anni). Per queste donne, l’eliminazione del reddito di cittadinanza costituirà di fatto l’obbligo a ritornare dal proprio carnefice. Questo dona tinte ancora più fosche al quadro di criticità che va delineandosi con la sostituzione del reddito di cittadinanza con una misura evidentemente insufficiente quale l’assegno di inclusione.

Il doppio filo tra violenza domestica ed economica

In base ai dati Istat riportati, risulta  evidente come spesso la violenza domestica sia connessa a situazioni di dipendenza economica da parte delle vittime. Il reddito di cittadinanza, misura già di per sé insufficiente, ha fino ad oggi rappresentato un barlume di speranza per tutte quelle donne che si trovavano a dover sfuggire ad una situazione di violenza, senza disporre delle risorse economiche necessarie per ricominciare da capo.
L’eliminazione del reddito di cittadinanza a favore dell’assegno di inclusione rappresenterà un grande passo indietro in questo senso. Certo, sulla carta l’assegno di inclusione dovrebbe tutelare le donne vittime di violenza. Nel conteggio dell’Isee, infatti, queste donne potranno costituire nucleo familiare indipendente da quello del marito, e non avranno l’obbligo di partecipare a percorsi di inclusione lavorativa, né di accettare le proposte di lavoro eventualmente offerte. Tuttavia, come denunciato dall’organizzazione ActionAid ( che ha anche indetto una petizione ), «Il problema è che l’assegno esclude di fatto le donne che non hanno figli a carico, anche se si trovano in una situazione di difficoltà economica».
Per le donne che non hanno figli l’unica opzione praticabile rimarrà quella di fare richiesta per il supporto per la formazione e lavoro,  che si rivolge ai soggetti cosiddetti  “occupabili”.  Tale sussidio però è molto ridotto (solo 350 euro al mese) ed è vincolato alla partecipazione a progetti di formazione e di accompagnamento al lavoro individuati dal governo ( che fra l’altro tarda nel metterli in campo). Inoltre, Il limite massimo di Isee per ottenerlo è di 6.000 euro, decisamente più basso rispetto ai 9.360 euro del reddito di cittadinanza.


L’eliminazione del reddito di cittadinanza apre la strada alla ricattabilità dei più deboli, in casa e nel mercato del lavoro

I dati Istat che evidenziano il legame tra la violenza domestica e la violenza economica rappresentano in maniera emblematica la parzialità della definizione per cui basta avere tra i 18 e i 59 anni e non avere figli né disabili a carico per esser definiti “occupabili”, ovvero il criterio per ricevere l’assegno di inclusione.
Al di là dei casi di violenza in cui la mancanza di risorse finanziare rappresenta uno dei principali ricatti che frenano le vittime dal separarsi dal proprio carnefice, ci sono poi le condizioni strutturali del mercato del lavoro a falsificare l’idea populista in base alla quale chi è oggi escluso dal mercato del lavoro (pur essendo “occupabile”) lo sarebbe volontariamente. Infatti, l‘economia italiana, con le sue fragilità ed asimmetrie, come la  dipendenza dalle importazioni, la scarsa capacità produttiva e tecnologica nei settori a maggior valore aggiunto o le diseguaglianze territoriali e generazionali ( per citarne alcune), è caratterizzata strutturalmente da alti livelli di disoccupazione.
Inoltre, una misura come l’assegno di inclusione non farà che peggiorare la pervasività del lavoro povero (Basti pensare che quasi un terzo dei lavoratori dipendenti privati, in particolare donne e giovani, percepisce retribuzioni lorde annue inferiori a 10.000 euro) e di condizioni di precarietà o part-time involontario.
Se si considera poi che all’eliminazione del reddito di cittadinanza  si sommano il carovita (frutto di speculazioni aziendali e del perpetuarsi della guerra in Ucraina), l’ulteriore peggioramento del mercato del lavoro dovuto al decreto 1°maggio, i tagli alla spesa pubblica previsti dalla legge di bilancio (in particolare nel settore sanitario), la graduale transizione alla “flat tax” e infine il ritorno alle misure antipopolari del Patto di Stabilità e Crescita nel 2024, non è difficile comprendere che l’effetto deleterio sulle classi più povere sarà ulteriormente amplificato, aumentandone la ricattabilità in maniera spaventosa.

Eliminazione del reddito di cittadinanza: una scelta poco furba dal punto di vista strategico?

Nell’ultimo anno, Il reddito di cittadinanza, insieme al salario minimo, è diventato  il cavallo di battaglia delle opposizioni. La domanda che è impossibile non farsi a questo punto è la seguente: davvero gli stessi partiti che in passato si sono macchiati di leggi antipopolari, contribuendo senza esitazione alla precarizzazione del mercato del lavoro e all’aziendalizzazione del settore pubblico, oggi si battono per queste misure solo per favorire la classi più povere?
Ovviamente non è così, ma oltre all’evidente necessità di ricrearsi una verginità politica agli occhi dell’elettorato c’è di più. Se si fanno considerazioni economiche di carattere keynesiano, risultate più che legittime in seguito al fallimento dei precetti della dottrina neoclassica nel fronteggiare la Grande Recessione del 2008, non è difficile giungere alla conclusione che l’eliminazione del reddito di cittadinanza, così come l’erosione salariale, coniugate a sgravi fiscali per i più ricchi, rappresenta un cocktail esplosivo che potrebbe avere l’effetto indesiderato di deprimere la crescita economica. Come ci insegna Keynes, in proporzione, le fette meno abbienti della popolazione sono quelle più propense al consumo, mentre le fette più ricche hanno una forte propensione al risparmio. Dunque, eliminando misure di sostegno statale alle fette più povere, mentre si procede a sgravi fiscali per i più ricchi, il rischio è quello di diminuire notevolmente la domanda aggregata, creando un calo dell’attività economica  ( e dunque un ulteriore calo dell’occupazione!). Insomma, la politica economica di questo governo (insieme a quella europea) potrebbe in definitiva essere deleteria non solo per le classi più povere, ma per l’intero sistema economico.

Virginia Miranda

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