Elezioni, social e Tv: l’importanza della quantità comunicativa

Tv

Nella fantasia, il voto viene assegnato a una forza politica sulla base della sua ideologia e dei suoi programmi (che utopicamente attuerà). Nella realtà, sul conto di questi e altri fattori, valutati secondari o primari (dipende dai casi).

Per esempio, l’identità di partito, data da verità compiuta e verità comunicata, è in grado di condizionare notevolmente le scelte degli elettori. Per questo, oltre le buone fattualità,  sono elementi importanti nella campagna elettorale numeri pubblicitari e tecniche di comunicazione. Quindi, quantità e qualità delle informazioni veicolate.

Oggi, a tal proposito, analizzeremo l’importanza della quantità comunicativa e dei limiti che giustamente la regolano.

Margini ed eccessi, la legge sulla par condicio

Esiste una legge sulla par condicio (parità di trattamento) che ordina gli spazi degli statisti in Tv. Tale norma fu introdotta nel 2000 per confinare lo strapotere mediatico di Silvio Berlusconi.

All’epoca in cui la Tv, più di radio e giornali, deteneva il controllo dell’informazione, Berlusconi era proprietario della rete Mediaset e candidato alla presidenza del Consiglio.

Con la ragione di contenere gli enormi vantaggi del Cavaliere, quindi,  il governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema, avanzò la proposta di legge. Poi accettata e resa vigente dall’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

La norma sancisce per tutti i candidati politici il diritto all’uguaglianza dello spazio televisivo, nelle reti pubbliche come in quelle private. Si riconoscono di questa i difetti della genericità e dell’imperfezione, ma senza alternativa se ne prende atto.



Tv e social, due mondi differenti

Mentre per la durata degli interventi “via cavo” vi sono delle circoscrizioni, per le possibilità di sborsare in propaganda social c’è la massima libertà. Non esistono indicazioni, così, variamente, i partiti, quasi tutti, spendono e spandono a loro discrezione.

Nel periodo compreso tra il 3 agosto e l’1 settembre, per Facebook e Instagram: Lega Nord ha investito 51mila euro, Fratelli d’Italia ne ha profusi quasi 39mila, mentre  il Partito democratico ne ha dati via 35mila.

Fuori dal podio, a gran distanza: Forza Italia  ha speso 6mila euro, Azione 4.200 e il Movimento 5 Stelle  0. Si, zero. Curiosa strategia.

Perché la prescrizione è a “mezzo unico”?

Ci si potrebbe chiedere come mai ci sia un tetto per il minutaggio individuale sul piccolo schermo e non uno per i dispendi sui social. L’ etica “a tutti la stessa visibilità” viene infranta dalle concessioni degli ultimi decenni?

Si, in teoria si. E in pratica anche. Ma non è così grave.

Fondamentale è rendere la competizione, se non perfettamente egualitaria, almeno similmente così. I minuti di presenza su Porta a Porta o i programmi di La7, possono spostare realmente gli equilibri. L’ autorità e l’esposizione della televisione, anche nei tempi attuali, superano di gran lunga l’ autorità e l’esposizione dei social.

Ne consegue che capitalizzazioni nel “nuovo settore” possono, più che far accaparrare voti, dar visibilità a un partito e renderlo più noto, discusso. Contrariamente, le esibizioni nei salotti a condivisione nazionale possono, oltre che aumentare la fama di un nucleo, portarne vicini i consensi degli avversarsi.

I voti scostabili per una mancata diretta televisiva,  non corrispondono ai voti scostabili per una mancata Adv su Instagram.

Gabriele Nostro

 

 

 

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