Regionali in Basilicata, i candidati bruciati dal campo largo

Il flop del campo largo in terra lucana avrà ripercussioni anche in vista delle europee

Regionali in Piemonte

Regionali in Basilicata compromesse

Le regionali in Basilicata dimostrano che fare un campo largo con un democristiano (il PD), un pasdaran più o meno di sinistra (il M5S) e un liberista blairiano (Azione e Italia Viva) è un’impresa che riuscirebbe difficile persino ai più mestieranti dei politici della Prima Repubblica, che di accordi e compromessi hanno fatto un’arte.

Il terreno del campo largo lucano è stato reso inagibile da veti e personalismi che hanno bruciato prima Angelo Chiorazzo, il re delle coop bianche con solidi agganci in Vaticano, poi Domenico Lacerenza, un oculista che ha scoperto dai giornali di essere stato candidato, infine la campagna elettorale di Piero Marrese perché, dopo tutti questi tira e molla, come vai a parlare agli elettori di “lavoro di squadra” e con quale coraggio affermi “l’obiettivo comune è battere una destra che non è presente sul territorio, che ha mal governato”?

La destra -almeno- sul territorio ha presentato il proprio candidato cinque mesi fa, il governatore uscente Vito Bardi, che, grazie al cortocircuito del centrosinistra, ha avuto un vantaggio di tempo enorme per organizzare e spiegare le proprie proposte. Che siano più o meno valide lo diranno i cittadini il 21 e il 22 aprile, che siano più credibili di quelle di un campo largo ridotto a campo minato lo dicono i sondaggi: gli ultimi vedono Bardi riconfermarsi (dopo le  elezioni del 2019) in vantaggio del 5% su Marrese, segno che queste elezioni poteva pure vincerle il centrosinistra, se solo si fosse mosso prima e meglio.

La scelta di Speranza

Il sipario lo apre Roberto Speranza. Proprio lui, nato e cresciuto a Potenza, ha rifiutato di candidarsi nella sua Basilicata, generando non pochi malumori negli ambienti dem che oramai lo vedono come Celestino V che fece per viltade il gran rifiuto. Elly Schlein ci aveva fatto affidamento e adesso è avvelenata, soprattutto perché non ci fa una bella figura una segretaria che non riesce a convincere uno dei suoi a candidarsi.

Anche Rosy Bindi lo ha strigliato: “Ha assolutamente sbagliato nel rifiutare la candidatura a presidente, con lui ci sarebbe stata l’unità del centrosinistra e probabilmente avrebbe vinto le elezioni”. In effetti, Speranza era un nome che poteva andare bene a tutti: Conte lo avrebbe accettato volentieri, è stato ministro della Salute del suo governo nella fase più drammatica della pandemia; e date le sue posizioni moderate e mai divisive sarebbe piaciuto anche a Carlo Calenda.

Le accuse a Speranza e l’immediata risposta

Qualche malalingua lo ha accusato di aver considerato la battaglia lucana roba di serie B per uno come lui che ha fatto il ministro e che magari ambisce a ritagliarsi un ruolo a livello nazionale.

Queste accuse lo hanno costretto a un chiarimento, o a una giustificazione: “C’è una rimozione, sulla questione Basilicata, che considero inaccettabile. Ho fatto il ministro della Salute durante la pandemia 7 giorni su 7, 24 ore al giorno, senza pause. Nello stesso periodo sono cambiati quattro ministri francesi, tre inglesi, due tedeschi. Il prezzo per me e i miei affetti più cari è stato altissimo. Continuano incessanti le minacce di morte e gli insulti quotidiani. Questo clima è peggiorato da quando è stata annunciata la commissione d’inchiesta sul Covid e mi costringe ancora a vivere sotto scorta con tutto ciò che questo comporta per la mia famiglia”. Come biasimarlo, è del tutto umano.

M5S contrario ad Angelo Chiorazzo

Preso atto della scelta dell’ex ministro della Salute, bisognava convergere su un altro nome. Lo stesso Speranza ha proposto quello di Angelo Chiorazzo: cinquant’anni, nato e cresciuto a Senise (Potenza), imprenditore e fondatore della cooperativa Auxilium, istituita nel 1999 in società con il fratello Pietro. È uno di quei “mister preferenze” che in una battaglia politica locale fanno sempre comodo. Si era già candidato con la sua lista civica Basilicata Casa Comune, prima di ricevere l’appoggio del PD. Su di lui si è detto contrario il M5S. Troppo democristiano o troppo cristiano, fatto sta che Conte si è impuntato.

Taruffi&Baruffi

A questo punto Elly Schlein ha sguinzagliato il duo a cui affida questo genere di grane: Taruffi e Baruffi. Gli “Uffi”, come li chiamano ormai nel PD. Igor Taruffi, ex Rifondazione e Sinistra italiana, è uno schleiniano della primissima ora. Davide Baruffi è un fedelissimo di Stefano Bonaccini e garantisce la “gestione unitaria” della segreteria nelle trattative politiche del Pd. È toccato a loro trattare da un lato con Paola Taverna, l’ex senatrice grillina, oggi responsabile enti locali del Movimento: “Ao, ma lo volete capì che a noi quel nome non ci va bene”.

Dall’altro, con il volpone Angelo Chiorazzo e il rissosissimo PD lucano, schierato in buona parte proprio con l’imprenditore e con Roberto Speranza. Per cercare di sbloccare la situazione il duo ha organizzato l’incontro tra Chiorazzo, Elly Schlein e Giuseppe Conte. Si è arrivati così, dopo un’infinita girandola di nomi bruciati, a quello dell’oculista Domenico Lacerenza, il candidato a sua insaputa.

Lacerenza abdica, il campo largo sceglie Piero Marrese

Contro Lacerenza sono subito insorti Marcello Pittella (altro mister preferenze nella regione) e Carlo Calenda, lamentando che Azione non era stata invitata al tavolo delle trattative. Per ripicca decidono di passare dalla parte di Vito Bardi, dove ad attenderli c’era già Italia Viva. La storia aveva già preso la forma del teatro dell’assurdo quando Lacerenza, appena 48 ore dopo la scoperta della candidatura, decide di mettere la croce sulla bara: “Voglio comunicare la mia rinuncia. Avevo dato la mia disponibilità, ma non posso non registrare le reazioni che ci sono state in seguito”.

Nel frattempo Angelo Chiorazzo, con la sua lista civica, poteva scegliere di correre da solo o cedere alle lusinghe di Calenda, ma Roberto Speranza è riuscito a dissuaderlo. Alla fine appoggerà il candidato che è riuscito a mettere d’accordo PD e M5S: Piero Marrese. Con lui anche Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Socialista Italiano, Basilicata Possibile, Basilicata Unita. Al nome di quest’ultima lista verrebbe da dire “mica tanto…”.

Vincenzo Ciervo

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