Elezione presidenziali 2024: Trump punta sulla dittatura

Elezioni presidenziali 2024

Le elezioni presidenziali 2024 potrebbero concludersi nel peggiore dei modi: ad un Biden che vede calare esponenzialmente il proprio indice di gradimento, infatti, potrebbe seguire il delirante Trump. L’ex immobiliarista proprio in questi giorni ha presentato un piano che profuma di ‘America First’ ma velenoso come le ‘Grandi Purghe’: fedelissimi al governo, funzionari oppositori licenziati e giustizia militarizzata ne sono solo alcuni dei punti cardine

Nonostante manchino precisamente undici mesi alle elezioni presidenziali 2024, risulta impossibile non pronosticare un cambio di fronte radicale: Biden, inquilino nella White House dallo scorso 2021, infatti, ha subito l’ennesimo ridimensionamento del suo già precario prestigio all’indomani della notizia che “i soldi per Kiev sono quasi finiti”.

Il monito, lanciato ieri da Shalanda Young, responsabile della Casa Bianca per il Bilancio, rappresenta, da una parte, l’accusa probabilmente più dura mossa da Biden verso le istituzioni, colpevoli di non accogliere il finanziamento che include sia i 60 miliardi necessari al sostegno per Kiev, che quelli per Israele e per la messa in sicurezza del confine con il Messico, e, dall’altra, un’urgente richiesta di sostegno finanziario.

Secondo i dati, il Pentagono avrebbe già usufruito del 97% dei 62,3 miliardi di fondi supplementari, mentre il Dipartimento di Stato avrebbe sperperato in toto i 4,7 miliardi di assistenza militare.

“Se il Congresso non si muove entro fine anno, esauriremo le risorse per procurare ulteriori armi ed equipaggiamento causando possibili vittorie militari russe”, si legge nella lettera indirizzata al Congresso

Il Congresso, dal canto suo, non ha ancora acconsentito al pacchetto di aiuti da 106 miliardi richiesto da Biden lo scorso ottobre; l’accordo è stato bloccato dall’opposizione palesata dai repubblicani nei confronti dei nuovi sostegni destinati a Kiev, in funzione dei quali i sondaggi danno in disaccordo il 59% del loro elettorato.

Al senato, dove il sostegno a Kiev è appoggiato anche da un’ampia fetta di repubblicani, si punta, invece, verso un accordo bipartisan che ridefinisca le misure sull’immigrazione che andrebbero a limitare le richieste d’asilo per chi arriva dal Messico.

Nulla, però, è ancora definito.

L’assenza di punti fermi, l’insicurezza dettata dai sempre più fluidi rapporti geo-politici di potere, che hanno ridefinito uno scacchiere mondiale non più a sola trazione a stelle e strisce, e, soprattutto, l’accanimento che i quotidiani americani di spessore hanno protratto nei confronti della strategia finanziaria bideniana, non così deleteria a differenza di quanto raccontato, hanno permesso all’ex immobiliarista Trump di riaffacciarsi nuovamente alla politica che conta.

Sarà stata forse l’accusa di aver comprato il silenzio della pornostar Stormy Daniels per 130mila dollari, o forse lo stress accumulato dalle infinite ore nei tribunali per rispondere agli oltre 30 capi d’accusa per frode aziendale, o, ancora, la non digerita sensazione di farfalle nello stomaco causata dall’essere finalmente the first (il primo presidente americano ad esser stato accusato formalmente di reati), non ci è concesso saperlo, ma Trump sembra aver fatto la sua ricomparsa in preda al delirium.

L’occupazione dei 4000 posti chiave al governo da parte dei fedelissimi, il licenziamento per i 50mila funzionari con incarichi amministrativi e sostituzione di questi con personalità di spicco del programma America First e, se ciò non bastasse, la militarizzazione del Ministero della Giustizia, rappresentano solo alcuni dei punti fermi del suo programma.

In particolare, il Ministero della Giustizia viene designato quale esecutore della folle strategia vendicativa che trapela dal ‘piano’: nel suo delirio, Trump si arreca il diritto di vendicarsi sia nei confronti dei repubblicani che lo hanno contestato, che verso i democratici che lo stanno perseguitando nei tribunali, percepiti quali veri mandanti dei soprusi a cui egli è costretto.

La militarizzazione, inoltre, consiste anche nell’utilizzo dell’esercito armato nelle zone di confine: nel caso del confine con il Messico, ad esempio, si prospetta la possibilità di legittimare eventuali violenze nei confronti dei civili invocando l’Insurrection Act del 1807, in base al quale i soldati possono travalicare la legge nei casi di minaccia esterna.

Oltre a perseguire la strategia di deperimento nei confronti delle istituzioni a tutela democratica, già evidente durante il suo primo mandato, il ‘piano’ dell’immobiliarista sembra, dunque, volto alla legittimazione di un potere dittatoriale: durante i comizi da egli tenuti, infatti, al ricorso alla criminalizzazione dell’avversario politico come elemento per dissipare qualunque possibilità di confronto democratico si è spesso affiancata, a completamento dell’identikit della ‘buona dittatura’, l’individuazione di un nemico pubblico, sulle spalle del quale pesa il gravoso fardello della crisi del paese, attraverso slogan populisti da quattro soldi, à la Salvini.

“Libereremo l’America dalla dominazione di comunisti, marxisti, fascisti che vivono come parassiti nel nostro paese rubando, mentendo e truccando le elezioni: vogliono distruggere l’America e il sogno americano” ha affermato Trump

La poca attenzione riservata alla minaccia Trump, denunciata da Robert Kagan, vecchio neo-conservatore ai tempi di Bush, deriva probabilmente dall’incapacità amministrativa che contraddistingue l’immobiliarista 77enne e che lo ha relegato all’impossibilità aprioristica di realizzare i propri scopi.

E’ qui, però, che scende in campo la Heritage Foundation, celebre think tank della destra radicale,: da mesi l’azienda lavora per selezionare professionisti, non sulla base delle capacità, bensì delle affinità rispetto alle idee trumpiane, al fine di consegnare al potenziale dittatore personalità che lavorino all’unisono senza cognizione di causa.

“Mai avevamo messo in piedi un piano così vasto per scardinare questo deleterio Stato amministrativo” ha affermato Kevin Roberts, presidente della Heritage

Chiederete, sarà forse Fantapolitica?

No, è semplicemente l’inevitabile effetto di una mediazione delle informazioni che propina quale prossimo al baratro un presidente atto a mangiare un hamburger presso un fast food, divenuto l’insensato simbolo della galoppante inflazione, e dedica le prime pagine ad un dittatore dalla parrucca giallo platino.

Luigi Di Vito

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