Sembra essere doveroso fare una premessa. In questo preciso luogo non si vuole fare alcun pronostico sul destino delle consultazioni che a breve coinvolgeranno il Capo dello Stato Sergio Mattarella e le formazioni vincitrici delle elezioni politiche del 4 marzo. Qualcuno a questo potrebbe opinare a ragione “Si può parlare di un vincitore in questo clima di incerta polarizzazione elettorale?”. Non si sa. Non è ancora sicuro che si possa parlare di un solo vincitore. Tuttavia è sicuro che si possa parlare di sconfitti. A prescindere da chi dice che in Italia le elezioni le vinca proprio chi le perde. In questo luogo si cercherà di analizzare e capire cosa sia finito e cosa sta per cominciare all’interno tanto dei meccanismi politici quanto in quelli elettorali e cioè il modo attraverso il quale noi elettori ci interfacciamo alla vicenda politica. Per questo motivo si propone la sistemazione del nostro discorso per “blocchi” politici, proprio nel momento nel quale questi blocchi vengono meno, per ibridarsi a vicenda. Ciò che con altre parole qualcuno si ostina a chiamare “inciucio”.
La coalizione di centrodestra
Il primo, grande, vincitore. Anche se ad uno sguardo particolarmente critico traspare quasi il timore di parlarne, proprio mentre l’Europa continua ad analizzare i conti del nostro paese. Vero è che alcune implicazioni fanno paura, prima fra tutte, quella che vedrebbe Salvini come Presidente del Consiglio. E anche vero però che con un 37% vanno fatti i conti. Ed è un 37% che difficilmente scenderà a compromessi cosciente, come si sta rivelando, della propria forza. Sembra che abbia bene interpretato la situazione della coalizione il direttore del Giornale Alessandro Sallusti che ieri, ospite della trasmissione Dimartedì condotta da Giovanni Floris su La7, ha indicato Matteo Salvini non tanto come il vincitore delle elezioni ma come nuovo leader del centrodestra. Questa analisi è corroborata dalle affermazioni di Silvio Berlusconi che ha dichiarato: “Resto il leader di Forza Italia ed il garante della compattezza della coalizione”. Evidentemente, prima che alla formazione di un governo, il cavaliere pensa a non perdere il proprio ruolo di guida del centrodestra. Dall’altra parte Salvini sembra dare per assodato il passaggio di consegne che Berlusconi vuole evitare e si proietta alle consultazioni forte dell’unità della coalizione.
Il partito democratico
Il primo, grande, sconfitto. In una posizione delicatissima, neanche a dirlo, tanto dentro quanto fuori. Come se non bastasse, le affermazioni del ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda contribuiscono a irrigidire le posizioni già suggerite al partito da Matteo Renzi. Secondo il ministro infatti: “Si può ripartire solo se lo si fa insieme. L’ ultima cosa di cui abbiamo bisogno è arrocco da un lato e il desiderio di resa dei conti dall’altro. Ridefinire il nostro messaggio al paese, riaprire iscrizioni e tenersi lontano da M5S. Il leader c’è e fa il Presidente del Consiglio”. Il riferimento è inequivocabilmente diretto a Paolo Gentiloni, per quanto riguarda la designazione di una nuova guida all’interno della compagine democratica, anche alla luce della formalizzazione da parte di Matteo Orfini delle dimissioni di Renzi. Ma non soltanto a lui. Queste dichiarazioni non possono non toccare un’altra personalità di spicco del PD: Michele Emiliano. Da parecchio tempo sostenitore di un’apertura al M5S, tanto da assegnare alcuni assessorati chiave della Regione Puglia proprio ai grillini, Emiliano ha risposto duramente alle parole di Calenda. Secondo il governatore della Puglia “Bisogna liberarsi al più presto di personaggi come Calenda e ricominciare un cammino diverso” e ha bollato l’iscrizione del ministro al PD come “la notizia più triste di questi giorni”. Dunque, pare che nel PD la linea principale sia quella di rimanere all’opposizione e non è un caso. Il PD ha perso proprio perché non ha saputo intercettare tanto la strategia dei propri avversari quanto le richieste degli elettori e nel momento in cui serve apertura e larghezza, si chiude a riccio.
Il Movimento Cinque Stelle
Diametralmente opposto all’approccio pre-consultazioni del PD sta il M5S, l’altro grande vincitore. Coloro che si sono sempre dichiarati contrari all’inciucio, alle larghe intese, adesso aprono il dialogo, da una prospettiva molto intelligente. Quando Di Maio dice “Siamo aperti al dialogo, dovranno tutti venire a parlare con noi” sta lanciando un messaggio chiarissimo alle altre compagini politiche e cioè: noi non ci muoviamo, non abbiamo bisogno di elemosinare, siamo nella posizione di affondare qualunque neogoverno che non passi prima da noi. A meno che non siate voi a venire da noi. Si tenta così di raggiungere un duplice obiettivo: restare monolitici nelle proprie posizioni, facendo rispettare il proprio programma elettorale e aprirsi a chiunque volesse condividerlo. Anche se più che di condivisione, si tratterebbe di imposizione. Si chiude così la stagione che aveva visto nel M5S il partito antisistema per eccellenza (come il PD, che ancora lo vede come tale) per lasciare spazio al tempo nel quale sarà proprio il Movimento ad essere garante del meccanismo rappresentativo. C’è chi, come Eugenio Scalfari, è convinto che il M5S rappresenti la nuova sinistra italiana e che, semmai dovesse nascere un’alleanza col PD, quest’ ultimo sia destinato a sparire, finendo per essere inglobato. A questo punto è doveroso riportare una dichiarazione di Grillo che ben sintetizza e chiarisce la questione: “La specie che sopravvive non è quella più forte ma quella che si adatta meglio. Quindi noi siamo un po’ democristiani, un po’ di destra, un po’ di sinistra, un po’ di centro… possiamo adattarci”. Questo aspetto, nello specifico, sarà trattato nella conclusione seguente.
Il perdente indiscusso: l’approccio ideologico
In questo clima di incertezza economico-politica, una cosa è certa: c’è un vincitore e c’è un perdente. Questo vincitore si chiama ragione strumentale, mentre il perdente è sicuramente l’ideologia. Non è un caso che formazioni come +Europa, Liberi e Uguali e Potere al Popolo abbiano raggiunto risultati tanto marginali. E non poteva essere altrimenti. Hanno vinto le promesse, la flat tax, il reddito di cittadinanza, hanno perso destra, sinistra, centro, radicali, fascisti e comunisti. La domanda che l’elettore fa a se stesso davanti alla scheda elettorale non riguarda più le modalità di partecipazione al governo che auspica si formi ma cosa può ricevere in cambio del suo voto che perde così intrinsecamente il proprio aspetto ideologico. Questa è la fine di un processo che è in moto da decenni, incubato nel berlusconismo e nella crisi economica e portato alla nascita da una legge elettorale (il Rosatellum) incapace di garantire governabilità.
Potrebbe essere davvero, come piace dire a qualcuno, l’avvento della Terza Repubblica.
Giorgio Russo