Elezioni nazionali in Cambogia: una sfida senza opposizione

Elezioni nazionali in Cambogia

Il 23 luglio 2023 si sono svolte le elezioni nazionali in Cambogia per l’Assemblea nazionale, cioè la camera bassa parlamentare. Il Partito del Popolo cambogiano (PPC) ha vinto con l’82% dei voti. Ma ancor prima dello spoglio, tutti conoscevano il vincitore. In una forma di governo apparentemente democratica, per oltre trent’anni, la carica di primo ministro é stata affidata a Hun Sen, leader del PPC. Ecco che un sistema multipartitico è, nella realtà dei fatti, un sistema a partito dominante. 

Le elezioni nazionali in Cambogia non sono libere nè eque

L’esito delle elezioni nazionali in Cambogia del 23 luglio scorso sono considerate una vera e propria farsa. La vittoria ha assegnato al PPC 120 seggi su 125 in Assemblea, lasciando i restanti 5 al piccolo e non ostile partito conservatore Funcinpec. Il primo ministro Hun Sen, simbolo del PPC, in una lunga campagna elettorale, ha presentato al popolo suo figlio, Hun Manet, come successore. Il boicottaggio delle elezioni nazionali in Cambogia del 2023 è stato evidente quando le autorità, lo scorso 15 maggio, hanno eliminato dai registri il Partito Candlelight (CLP), che avrebbe potuto costituire una minaccia elettorale. Il Comitato elettorale nazionale (NEC) non ha quindi riconosciuto il CLP alle elezioni. La decisione del NEC è stata ulteriormente convalidata dall’alto organo del Consiglio Costituzionale della Cambogia. La motivazione è quella di una sbagliata procedura di registrazione.

Gli aggiornamenti dei risultati elettorali hanno mostrato che più dell’80% della popolazione aveva votato ma che c’erano molte schede viziate. Secondo l’analisi politica, i brogli elettorali sono l’unica modalità di opposizione e resistenza contro l’esecutivo. Allo stesso tempo, sono anche uno strumento del governo per ricordare al popolo che la libertà di opinione e di voto non esiste. Sono quindi un’arma a doppio taglio che, il più delle volte, è usata dal partito dominante per conquistare la vittoria. 

L’incombenza autoritaria di un partito dominante

I brogli elettorali che impediscono elezioni libere e corrette in Cambogia non sono una novità, ma uno dei molteplici sintomi di autoritarismo. Il PPC ha promosso numerose persecuzioni nei confronti degli oppositori politici, costringendoli a fuggire all’estero. Ha anche condannato politici e civili ad anni di carcere per tradimento o presunzione di colpevolezza. La costituzione cambogiana del 1993 riconosce una libertà di stampa che, nella realtà dei fatti, è fortemente limitata. Lo scorso febbraio, Hun Sen ha ordinato la chiusura di Voice of Democracy, una delle poche testate indipendenti nazionali. Ma non è tutto. L’ Assemblea nazionale ha promulgato a giugno una legge che prevede il divieto di voto successivo per chiunque non partecipi elezioni. Dunque il risultato degli 8,1 milioni di persone che si sono recate alle urne è la conseguenza di una politica intimidatoria che si nasconde sotto la maschera di una libera partecipazione politica.

Vista la difficile e pericolosa situazione, i capi politici del CLP hanno richiamato all’attenzione i governi internazionali affinché non riconoscano gli esiti di queste ultime elezioni. In particolare, si sono rivolti agli Stati firmatari degli Accordi di Parigi, che hanno sancito la fine della guerra civile in Cambogia nel 1991. 

Un governo durato 38 anni tra violenze e manipolazioni 

Hun Sen ha detenuto i poteri di primo ministro dal 1985 quasi ininterrottamente. È un ex comandante militare dello storico movimento comunista dei Khmer Rossi.  Autore di repressioni e persecuzioni nei confronti dei cittadini dissidenti o rivali politici, Hun Sen è il promotore di un’intensa propaganda populista  a favore del figlio, Hun Manet. Quest’ultimo è inoltre già vice comandante delle forze armate e ha anche ricevuto l’approvazione dal resto del partito. Hun Manet sarà quindi il prossimo primo ministro cambogiano per volere della sola classe dirigente. Di fatto, il potere delle elezioni popolari è stato completamente esautorato.

Nato e cresciuto nella Cambogia comunista di Pol Pot, Hun Sen ha iniziato la sua carriera politica nel 1979 come ministro degli Esteri e nel 1985 come primo ministro. La sua parabola di dirigente politico è stata coronata da un colpo di stato nel 1997 e da una lunga serie di restringimenti delle libertà e dei diritti. Intimidazioni, paura e opacità nelle elezioni sono le parole chiavi per riconoscere un governo che, nonostante sia de iure una democrazia, è de facto un regime autoritario. Il culmine di questo autoritarismo è arrivato nel 2017, quando Hun Sen ha sciolto il Cambodian National Rescue Party – da cui poi è nato l’attuale CLP -, e ha incentivato la caccia all’uomo durante le rivolte popolari. 

Il passaggio dell’eredità

L’attuale stato di transizione in cui la Cambogia si trova può tramutarsi facilmente in un problema. Seppur un’autocrazia, il lungo governo di Hun Sen ha lasciato un segno nello Stato, un proprio modo di fare politica e di intrattenere i rapporti diplomatici. Questa continuità non è scontata. Hun Manet , il figlio di 45 anni, occuperà presto il posto di primo ministro in una Cambogia diversa. Nuove possono essere le forme di opposizione, le coalizioni, ma anche i rapporti internazionali. Insomma, Hun Manet può rappresentare la faccia più debole della dinastia. 



La sfida che si trova ad affrontare Hun Manet è quella di portare avanti l’eredità che il padre ha costruito nel corso di 38 anni. Il cambio di leadership può destabilizzare il governo e il paese. Inoltre, da un punto di vista economico, il sistema cambogiano è in forte recessione. Questo potrebbe inasprire l’opinione pubblica, compromettendo la legittimità politica che gli garantisce il potere. Secondo alcuni politologi infatti, l’obiettivo più grande è quello di conquistare la legittimità. Questo significherebbe indebolire l’opposizione e, al tempo stesso, soddisfare la gente senza le violenze. La legittimità da conquistare sarebbe anche estera. Si tratta infatti di stabilire nuovi rapporti con le grandi potenze mondiali come gli Stati Uniti e la Cina. 

Il grande quesito è se la condizione socio-politica ed economica possa cambiare con questo passaggio di eredità. È infatti un grande passo indietro che Hun Sen ha deciso di fare nei confronti di un sistema politico e sociale per cui si è reso indispensabile per quaranta anni. Del resto, Hun Manet è tanto figlio di un governo autoritario quanto di un mondo molto più occidentalizzato e moderno. Insomma, il neo primo ministro può essere considerato un “principiante” con in mano il futuro del paese.

Cosa rappresentano le elezioni nazionali in Cambogia

Pace e prosperità sono parole sempre presenti nei discorsi di Hun Sen e del suo successore. Dal 1998, l’economia ha riscosso una rapida crescita, pur partendo da una base molto bassa. Le ricchezze acquisite sono però rimaste nelle mani delle famiglie più potenti e non c’è stata una distribuzione equa tra le fasce della popolazione. Mentre Hun Sen e la sua classe elitaria vincono le ennesime elezioni boicottate, Transparency International pone la Cambogia al 150° posto su 180 nella classifica dei paesi più corrotti del mondo. 

L’autoritarismo in Cambogia è il risultato finale e fallimentare di un processo di democraticizzazione. Le Nazioni Unite si sono impegnate a ricostruire un paese democratico che garantisse uno Stato di diritto ma hanno agito senza fare i conti con le recenti lacerazioni sociali e la guerra civile. Si sono limitate a costruire su delle macerie troppo grandi da sostenere una nuova società. Alcuni paesi europei come la Francia e la Germania hanno denunciato il clima politico in Cambogia. Si sono infatti dichiarati “preoccupati” e hanno ribadito le regole fondamentali per un paese che si possa dire democratico: multipartitismo, elezioni libere e corrette, partecipazione politica e trasparenza economica. Ma le irregolarità delle elezioni nazionali in Cambogia sono sempre esistite.

La Cambogia di Hun Sen, che ad oggi con i suoi 70 anni di età riscuote la nomea di autocrate più longevo del mondo, ha attraversato in una prima fase il regime comunista, poi un sistema democratico, fino ad un irrigidimento sempre più intollerante. Ancora una volta, l’esperimento politico dell’Occidente dell’esportazione democratica è fallito e le sue dure conseguenze ricadono sulla popolazione e i suoi diritti.

Lucrezia Agliani

Exit mobile version