“La gente vuole potere non debolezza” Così Benjamin Netanyahu fermamente convinto della sua vittoria si è espresso quando ancora mancava il conteggio del 20% dei voti. Di queste elezioni in Israele sembra realmente apprestarsi ad essere il vincitore ma vera protagonista della scena è l’estrema destra sionista di Ben Gvir. Le Urne del paese spingono in una direzione ben precisa
Soprannominato “Bibi”, con 15 anni e 92 giorni totali di incarico, Netanyahu è confermato da queste ultime elezioni in Israele come il primo ministro più longevo della storia del paese. A discapito persino del padre della patria Ben Gurion. Leader del partito nazionalista Likud già nel 2005 rese evidenti le sue posizioni. Infatti in quell’anno, con lo sgretolarsi dell’ideale di “Grande Israele” e il ritiro da Gaza, il partito subì una scissione: Sharon fondò Kadima come partito centrista, Netanyahu restò nel Likud per guidarlo ulteriormente a destra.
Lo stesso nazionalismo rigido a cui i cittadini israeliani riconoscono da anni rilevanza politica, è accompagnato però da innumerevoli accuse.
Sempre più torbida, con gli anni, diviene la figura di Netanyahu
Mancò nel 1996 la sua presenza all’accordo di Oslo per la pace tra Israele e Palestina, assenza che produsse instabilità e ulteriori tensioni. Negò, nel 2015, che Adolf Hitler avesse mai avuto intenzione di sterminare gli ebrei: voleva solo espellerli e mandarli in Madagascar o farli emigrare in Palestina. Nel 2019 venne incriminato per corruzione, abuso d’ufficio e frode per alcune modifiche legislative. Nella pratica: attuò un trattamento di favore nei confronti di una società di comunicazione perché della sua persona si scrivesse unicamente in modo positivo e favorì durante la sua carica amici facoltosi da cui accettò diversi regali.
Queste elezioni consegnano alla coalizione guidata da Netanyahu 64 seggi: a tale raggiungimento hanno contribuito i voti per “Ebraismo della Torah Unito”, partito religioso sefardita “Shas” e “Sionismo Religioso” di Itamar Ben-Gvir. È quest’ultimo però ad apportare la quota maggiore e a segnalare un protagonismo nuovo, sempre più estremo.
La campagna elettorale portata avanti in totale assenza di volti femminili è fattore emblematico di una formazione politica ultra-conservatrice, ostile a ogni compromesso con la componente araba e palestinese.
Gvir vanta di essere stato incriminato per più di 50 volte per incitamento all’odio, è promotore degli insediamenti in Cisgiordania e della necessità di espellere tutti i cittadini arabi “non leali a Israele”. I suoi riferimenti ideologici risultano chiari, conservava in casa un ritratto di Baruch Goldstein: terrorista americano-israeliano che nel 1994 massacrò a Hebron 29 musulmani palestinesi e ne ferì altri 125.
La destra israeliana s’infiamma, e sembra incenerire la sua avversaria, già frantumata
Cardine da decenni dei governi israeliani, il partito laburista, entra in parlamento (Knesset) con appena 4 deputati. Il peggior scenario spetta allo storico partito di sinistra Meretz, con il 3.25% dei voti è sotto la soglia di sbarramento e fuori dall’assemblea di stato. Sono macerie palpabili.
Soltanto Lapid con la sua formazione Yesh Atid (C’è speranza) ottiene riscontro positivo dalla prova elettorale, con 24 seggi si appresta a guidare l’opposizione.
I risultati di queste elezioni in Israele non saranno ufficiali fino al prossimo mercoledì, solenne, nel frattempo, risulta la crisi democratica. Smarrimento globale di cui però siamo incapaci di percepire l’immenso rischio, perchè progressivo e apparentemente poco invadente.
Come la rana di Galvani che fugge dalla vasca solo quando l’acqua è improvvisamente bollente, ma quando il calore aumenta lentamente s’inganna, e allora muore.