Storica vittoria del partito ambientalista Inuit alle elezioni in Groenlandia: a decidere la sorte del voto, la battaglia contro la costruzione di un’enorme miniera di “terre rare”.
Le ultime elezioni in Groenlandia, risalenti allo scorso 6 aprile, hanno segnato un risultato storico: con il 37% dei voti, il partito Inuit Ataqatigiit, di chiara vocazione ambientalista, ha sconfitto il partito socialdemocratico Siumut, alla guida dell’isola dal 1979. A determinare questo cambio di rotta è stato il dibattito scoppiato intorno al progetto Kvanefjeld: un’enorme miniera di terre rare che sarebbe dovuta sorgere nella regione meridionale dell’isola. Il progetto, approvato dal precedente governo, aveva scatenato le proteste degli abitanti e condotto alle elezioni anticipate.
A preoccupare gli elettori sono stati i rischi per l’ambiente naturale e la salute umana connessi all’attività estrattiva. Le ragioni dell’ecologia hanno così prevalso sull’interesse immediato: la costruzione della nuova miniera, infatti, avrebbe garantito moltissimi nuovi posti di lavoro, oltre che lo sviluppo economico complessivo dell’intera Groenlandia.
Ma le elezioni hanno suscitato interesse e preoccupazione anche al di fuori dei confini dell’isola. Le ingenti risorse minerarie presenti in questi territori costituiscono infatti una grande attrattiva per alcune delle maggiori potenze sullo scacchiere internazionale. La Groenlandia e i suoi appena 56.000 abitanti (di cui oltre l’80% di origine Inuit) sembrano così destinati a ricoprire un ruolo di primo piano nelle dinamiche geopolitiche del futuro.
Le terre rare
Il territorio della Groenlandia custodirebbe uno dei più grandi giacimenti mondiali di “terre rare”; un insieme di 17 minerali fondamentali per la fabbricazione di dispositivi elettronici (quali smartphone e computer), ma anche per lo sviluppo di prodotti legati alla transizione energetica (macchine elettriche, pannelli fotovoltaici, turbine eoliche). Eppure, a loro volta, questi minerali possono rappresentare un rischio ambientale per i territori che li ospitano; il processo di estrazione e separazione infatti comporta l’impiego di grandi quantità di solventi chimici. Il giacimento presente in Groenlandia, inoltre, contiene anche ingenti riserve di uranio. Secondo gli esperti, una simile miniera a cielo aperto, date le peculiarità climatiche del territorio, avrebbe messo in serio pericolo l’intera porzione meridionale dell’isola; liberando polveri radioattive dannose anche per gli ecosistemi marittimi.
La Groenlandia, che gode di una notevole autonomia istituzionale rispetto alla “madre patria” danese, ha sviluppato negli ultimi anni una decisa consapevolezza ecologica. In questi territori, infatti, il riscaldamento climatico è una minaccia immediata ed evidente. Lo scioglimento dei ghiacciai raggiunge di anno in anno punte record, determinando oltretutto una maggiore vulnerabilità politica dell’isola. Man mano che i ghiacci si riducono e le rotte artiche diventano sempre più percorribili, infatti, le potenze vicine e le compagnie minerarie cercano di allungare le mani su questa immensa riserva di risorse, ancora tutte da sfruttare.
Molti ricorderanno la proposta dell’ex presidente americano Donald Trump, che, nel 2019, si era offerto di acquistare la Groenlandia; un’iniziativa che aveva suscitato molti malumori nei cittadini Inuit, e che era stata infine respinta dalla Danimarca. Ma gli Stati Uniti non sono i soli a muovere rivendicazioni nell’area. Pochi giorni fa, nell’ambito di un’esercitazione, tra i ghiacci dell’Artico sono affiorati simultaneamente tre sottomarini nucleari russi; uno sfoggio di forza con cui il Cremlino avrebbe rivendicato il proprio potere sui territori del Polo Nord.
La minaccia cinese
I giacimenti di terre rare della Groenlandia fanno gola a molti. Allo stato attuale delle cose, questi minerali sono estratti in larga parte al di fuori dell’Occidente. La Cina, in particolar modo, ne produce circa il 60%, ed è responsabiledell’80% della raffinazione a livello mondiale. La costruzione di una nuova miniera in zona artica avrebbe potuto scalfire questo primato, che preoccupa non poco gli Stati Uniti. Dalle terre rare, infatti, non si producono solo pc e cellulari, ma anche apparecchiature militari; gli stessi armamenti americani, al momento, dipendono perciò in buona parte dalle esportazioni cinesi.
Tuttavia l’apertura di una miniera in territorio “occidentale” non garantirebbe automaticamente una riduzione del peso cinese sul mercato delle terre rare. La Greenland Minerals, ossia la società australiana che avrebbe dovuto farsi carico della miniera di Kvanefjeld, ha subito negli ultimi anni la scalata azionaria del gruppo Sheghe Resources, una compagnia cinese vicina al governo di Pechino. Anche questo progetto, lungi dal tradursi in una maggiore indipendenza economica della Groenlandia, rischiava quindi di risolversi in un’ulteriore minaccia per la sua autonomia.
Il futuro della Groenlandia dopo le elezioni
Per tutti questi motivi la Groenlandia, tradizionalmente molto periferica negli sviluppi internazionali, si trova oggi al centro delle strategie delle maggiori potenze mondiali: dalla Cina, intenzionata a mantenere il proprio primato in materia di terre rare, agli Stati Uniti, decisi a contrastare il colosso asiatico, fino alla Russia, interessata al controllo delle nuove rotte artiche aperte dallo scioglimento dei ghiacciai.
Non sono mancate sull’isola voci favorevoli al progetto minerario. Secondo il socialdemocratico Vittus Qujaukitsoq, il futuro stesso della Groenlandia dipenderebbe dalla sua capacità di attirare capitali esteri. Anche Jess Berthelsen, a capo del principale sindacato locale, ha espresso simili preoccupazioni. L’isola d’altronde dispone di un prodotto interno lordo piuttosto esiguo, e dipende in larga misura dagli aiuti erogati dal governo danese. La concessione dello sfruttamento minerario alle compagnie straniere non solo garantirebbe un avvenire economico a questi territori, ma potrebbe in futuro agevolarne la totale indipendenza politica: un progetto caro a molti cittadini, e appoggiato dallo stesso partito ambientalista.
Ad ogni modo, le ultime elezioni mostrano come la Groenlandia abbia fatto la sua scelta; anteponendo le ragioni ambientali e la salute degli abitanti allo sviluppo economico “a tutti i costi”. In uno dei territori più minacciati dalle conseguenze dell’inquinamento mondiale, un simile risultato acquista un forte significato simbolico. La terra degli Inuit non è ancora in vendita.
Elena Brizio