L’Estonia elegge Kaja Kallas a Premier, diventando la prima repubblica al mondo ad avere due donne nelle cariche governative più importanti
Elezioni in Estonia: il primato
Con le elezioni in Estonia, il 25 gennaio scorso Kaja Kallas diventa Primo Ministro. Con questo risultato il Paese si guadagna un primato mondiale: è infatti la prima repubblica al mondo ad avere due donne a capo del governo.
Kallas ha giurato con i ministri del suo governo davanti alla Presidentessa della Repubblica Kersti Kaljulaid, in carica dal 2016. Il Paese baltico ha conquistato la sua indipendenza nel 1991, a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, ed oggi detiene già un importante primato.
La prima cosa di cui ci occuperemo è la crisi sanitaria. Il nostro obiettivo è mantenere l’Estonia più aperta possibile in modo che le persone possano andare a lavorare, i bambini a scuola e le attività economiche per continuare
(Kaja Kallas)
Classe 1977, Kallas è leader del Partito Riformatore Estone dal 2018 che governerà a fianco del Partito di Centro, del Primo ministro uscente. Entra in politica nel 2010 e nel 2011 diventa Presidente degli Affari economici del Parlamento, arrivando a Bruxelles nel 2014. È stata Vicepresidente della delegazione Unione Europea-Ucraina, del Comitato di Associazione Parlamentare e rappresentante dell’Assemblea Parlamentare Euronest.
Kallas non era nuova alla politica; già suo padre, Siim Kallas ha svolto diversi incarichi: da Vicepresidente e Commissario dell’Amministrazione Sorveglianza e Lotta contro la Frode nella Commissione europea, dal 2004 al 2014, fino a diventare Presidente della Banca di Estonia e Ministro delle Finanze e degli Affari Esteri.
La nuova onda
Le elezioni in Estonia rappresentano un nuovo capitolo per la storia della politica mondiale. La buona notizia arriva in un anno in cui anche la potenza mondiale per eccellenza, gli USA, ha raggiunto importanti traguardi nelle presenze femminili in politica. Nelle ultime elezioni, infatti, ha fatto molto parlare Kamala Harris in quanto prima Vicepresidente donna nella storia degli Stati Uniti. Ma non è l’unica notizia ad aver destato attenzioni positive. Un record si è visto anche al Congresso, con 318 candidate donne, di cui 117 afroamericane, per 535 seggi.
Tra le protagoniste di questa nuova onda, ci sono le elette dall’ala più radicale del partito democratico: giovani donne sotto i 50 anni, rappresentative di una nuova generazione che vuole far sentire la voce del cambiamento e dell’eterogeneità. Si parla della Squad composta da Alexandria Ocasio-Cortez di New York, Ilhan Omar del Minnesota, Rashida Tlaib del Michigan e Ayanna Pressley del Massachusetts. A loro si affianca Cori Bush, prima donna nera ad essere eletta nel Missouri e attivista BLM. Un altro primato spetta allo stato del Delaware con l’elezione di Sarah McBride, la prima senatrice transgender degli Stati Uniti, con il 90% dei voti a favore.
Un cambiamento non sempre riconosciuto
È il segno che qualcosa si stia finalmente muovendo. La nomina di Kallas alla presidenza estone, aggiunge il Paese alla lista, in Europa, di quanti hanno già una leader donna: Lituania, Norvegia, Finlandia, Islanda, Danimarca e Germania.
Eppure la notizia non ha avuto molta risonanza, almeno in terra nostrana, e là dove è stata diffusa molti commenti hanno teso alla banalizzazione.
C’è infatti una larga fascia di persone che non reputa una vittoria l’elezione di una donna alla guida di un Paese. A supporto di ciò, una delle “tesi” più conclamate è che le donne sono persone come altre, l’importante è che un politico faccia bene il suo lavoro.
Nulla di più vero, e difatti non si parlerebbe di primato (come nel caso dell’Estonia) o di conquista, se il mondo fosse realmente avvezzo alla parità di genere. Peccato che non sia così.
A riprova di ciò basta guardare il nostro Paese e la necessità di introdurre, per legge, le cosiddette quote rosa.
Le quote rosa
Le quote rosa sono state introdotte a livello legislativo proprio per garantire la parità di genere in ambiti il cui la rappresentanza femminile è minore. In Italia sono attive dal 2011. Alla sua entrata in vigore la legge fissava la quota al 20%, per poi salire al 30% nel 2015 e, nel 2019, al 40%.
La necessità di tale legge rende evidente lo squilibrio che c’è, ad esempio, nelle sfere politiche; proprio là dove, almeno idealmente, ci si dovrebbe occupare di rappresentare al meglio la popolazione. Si tratta, quindi, di un problema evidente e le vittorie conseguite in questo ambito, come per le elezioni in Estonia, rappresentano un passo avanti. In questo senso, dunque, è bene che tali notizie siano diffuse e celebrate.
Dopo qualche anno dall’introduzione della legge, nei Paesi in cui è stata adottata si è visto un effettivo incremento di donne, in politica e altri contesti. Lo evidenzia uno studio della City’s Business School di Londra che dimostra come tale normativa ha portato a una maggiore presenza femminile negli organi di governo, nonché nei cda delle società quotate in borsa.
Tuttavia nel 2019 si è registrato un calo di questa crescita, o meglio un suo arresto dopo un boom iniziale. A mostrarlo è un report di Cerved-Fondazione Bellisario in collaborazione con Inps. Secondo lo studio il sistema di quote rosa ha effettivamente funzionato, ma solo nel raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Questo vuol dire che non c’è stata l’effettiva volontà di andare oltre gli obblighi, introducendo nuove pratiche vòlte a normalizzare la parità di genere.
La diversità dei consigli di amministrazione è cruciale per il successo e la sostenibilità di una società. C’è il rischio che con l’attuale crisi pandemica i Paesi che non applicano le leggi sulla parità di genere facciano un grande passo indietro. Non esiste alcuna prova che suggerisca che la qualità dei consigli di amministrazione peggiori quando la regolamentazione è obbligatoria. Nonostante ciò, le normative sulle quote rosa non hanno ancora avuto un impatto complessivamente positivo sulla nomina di dirigenti o presidenti di consiglio di amministrazione donne
(Sonia Falconieri, docente di Finanza alla City’s Business School di Londra)
La speranza, ovviamente, è che non si debba più ricorrere ad una legge per avere una società realmente paritaria. Ma fino ad allora è bene ricordare questa necessità e accogliere favorevolmente tutte quelle vittorie, come nelle elezioni in Estonia, che mostrano un trend positivo nell’abbattimento di certe dinamiche.
Marianna Nusca