Sudafrica, Mozambico, Botswana, Namibia chiamati al voto nel 2019: ci si attende un cambio di volti, ma non di partiti al potere
Al centro della fase più recente della Guerra fredda, quando fu la sede di violente guerriglie tra i movimenti di liberazione supportati dall’Unione sovietica e i regimi bianchi sostenuti dall’Occidente, l’Africa australe è oggi un insieme di 13 stati relativamente stabili, grazie principalmente alla solidità delle istituzioni politiche ed economiche post coloniali e al forte gradimento popolare guadagnato dai nuovi governi neri.
Sono molte le classifiche internazionali che assegnano punteggi alti alle istituzioni liberali e alle economie di mercato dell’area a sud del fiume Zambesi. Nonostante ciò, si tratta di democrazie non pienamente realizzate, soprattutto a causa di un aspetto fondamentale: in questi Paesi è praticamente inesistente l’alternanza al governo tra maggioranza e minoranza. Oggi infatti governano ancora i partiti saliti alla guida dei vari Stati al momento dell’indipendenza e dell’abbattimento dei regimi segregazionisti: l’Anc in Sudafrica, il Bdp in Botswana, il Frelimo in Mozambico, la Swapo in Namibia e la Zanu-Pf in Zimbabwe.
Anche per la tornata elettorale 2019 la tendenza sembra essere quella della continuità. Già le elezioni presidenziali e parlamentari svoltesi in Zimbabwe a luglio 2018 hanno confermato la fiducia decennale al gruppo Zanu-Pf. Con le dimissioni forzate dell’ex presidente Mugabe, la Zanu-Pf può contare su un largo consenso al suo nuovo leader Emmerson Mnangagwa.
Si parte con il voto in Sudafrica
Previsioni dello stesso tenore riguardano il Sudafrica, chiamato al voto il prossimo mercoledì 8 maggio. Saranno le seste elezioni tenute nel Paese dopo la fine dell’apartheid e, salvo colpi di scena, dovrebbero confermare l’attuale presidente Cyril Ramaphosa, leader di Anc. Ramaphosa ha sottratto a Jacob Zuma le redini del partito dopo la mozione di sfiducia del Parlamento. Nonostante gli entusiasmi attorno a Mmusi Maimane, giovane leader di Democratic Alliance, principale partito all’opposizione, e sebbene l’ala populista a sinistra di Anc stia continuando a crescere, Ramaphosa sembra avviarsi verso un nuovo mandato presidenziale. Non, però, senza perplessità.
Oltre ad accusare infatti l’Anc di corruzione, molti si aspettano che la maggioranza si occupi più a fondo di fornire soluzioni alla criminalità e alla crisi dell’elettricità. Molta è anche la pressione attorno alle modifiche alla Costituzione promesse lo scorso agosto da Ramaphosa, al fine di accelerare il processo di redistribuzione della terra alla maggioranza nera del Paese.
Il Mozambico punta a prolungare i quarant’anni di Frelimo
Il 15 ottobre sarà poi la volta del Mozambico, dove il consenso attorno al Frelimo non sembra essere diminuito. Il partito è alla guida del Paese dal 1975, dopo l’indipendenza dal Portogallo. Il partito della Resistência Nacional Moçambicana (Renamo) sembrava essere rientrato nella battaglia elettorale dopo gli episodi di guerriglia del 2013, ma le recenti tornate elettorali locali hanno fatto emergere le difficoltà della Renamo a conquistare territori e popolazioni fuori dalle province centrali. Candidato favorito è quindi il presidente Filipe Nyusi di Frelimo e proveniente dal nord del paese. Lo stesso luogo dove sono state scoperte qualche anno fa alcune riserve di gas naturale che hanno attirato gli investimenti di alcuni giganti dell’energia che vedono di buon occhio Frelimo e il suo leader.
Oltre cinquant’anni di Bdp in Botswana
Sempre in ottobre, sarà poi la volta degli elettori del Botswana. Qui il Bdp è al potere dal 1965 e il 2018 ha visto un cambio nella leadership di partito, dopo che il presidente Khama ha ceduto le redini al ministro dell’istruzione Masisi. In effetti il paese viaggia dagli anni Sessanta con un ritmo di crescita che non sembra rallentare. L’economia è però poco diversificata e basata essenzialmente sulla produzione di diamanti. Per contrastare quindi l’egemonia del Bdp, i quattro partiti d’opposizione hanno formato un fronte unitario. Il momento sembra essere favorevole, visto che il Bdp nelle ultime votazioni ha subito un’importante erosione del suo consenso. Il Botswana rappresenta dunque realisticamente l’unico stato in cui gli equilibri politici potrebbero cambiare.
Leggermente più incerto il voto in Namibia
A novembre, invece, sono previste le elezioni in Namibia. Saranno le seconde sul continente africano a utilizzare il voto elettronico e si prevede un alto numero di potenziali candidati in lizza per la presidenza. La competizione sembra essere molto accesa, anche alla luce delle contestazioni che hanno caratterizzato le elezioni dell’Assemblea nazionale nel 2014. Il superfavorito è comunque l’attuale presidente Hage Geingob del partito al potere SWAPO. Geingob ha infatti vinto le precedenti elezioni presidenziali con l’87% dei voti nel 2014. La Swapo, nello stesso anno, ha anche vinto le elezioni dell’Assemblea nazionale, guadagnandosi l’80% dei voti.
La forza della Swapo sta nel solido consenso della popolazione ovambo, che da sola rappresenta metà dell’elettorato. Negli anni essa ha permesso al partito di non scendere mai sotto al 70% dei consensi. In questa situazione, l’opposizione non ha certamente vita facile, pur contando su un leader giovane come McKinsey Venaani che, tra le altre cose, sta cercando di dare al suo partito, la Dta, un’immagine più convincente.
Il 2019 sembra quindi confermare le tendenze politiche nel segno della continuità che hanno caratterizzato questi decenni per l’Africa australe. L’alternanza al governo, da un parte sintomo della buona salute della democrazia, sembra però ancora troppo rischiosa in un’area che necessità di far sopravvivere i delicati equilibri conquistati a fatica, senza troppi scossoni politici.
Elisa Ghidini