Elezioni farsa in Zimbabwe, che vedono nuovamente vincitore Emmerson Mnangagwa. Il leader inaugura il secondo mandato elettorale, non curandosi delle proteste dell’opposizione e delle accuse di organi internazionali come l’ONU, che denunciano irregolarità durante le votazioni.
Elezioni farsa in Zimbabwe: così le opposizioni hanno etichettato il voto avvenuto mercoledì 23 agosto nella capitale Harare. Le controverse elezioni hanno visto nuovamente la vittoria di Emmerson Mnangagwa con il 52,6% dei voti, garantendosi così un secondo mandato.
Nelson Chamisa, leader a capo del partito d’opposizione, Coalizione dei Cittadini per il Cambiamento (CCC), che ha ottenuto il 44% dei voti, ha immediatamente chiesto solidarietà ai partner regionali contro un voto che ha definito una “gigantesca frode”. In una conferenza stampa, ha dichiarato: “Africa, vi prego di non abbandonarci. In particolare, i nostri fratelli e sorelle nella regione e nel continente. Facciamo affidamento sulla vostra solidarietà mentre cerchiamo di affrontare questa crisi politica“. La campagna elettorale è stata caratterizzata da misure repressive e arresti nei confronti dell’opposizione. Inoltre, si sono verificati ritardi fino a dodici ore nella consegna delle schede elettorali, impedendo così a numerosi cittadini di esprimere il loro voto. Per affrontare questi ritardi, il periodo di voto è stato esteso di un giorno; tuttavia, questa estensione è stata applicata solo in alcune aree del paese.
L’opposizione dichiara “elezioni farsa” in Zimbabwe
Senza rivelare i suoi piani futuri, Chamisa, il leader quarantacinquenne, pastore e avvocato, ha affermato che il suo partito possiede prove della vittoria nel voto presidenziale e ha accusato la Commissione elettorale dello Zimbabwe (ZEC), l’organo responsabile delle elezioni, di aver annunciato un risultato errato. “Siamo qui dopo un’elezione altamente contestata”, ha dichiarato. “Il processo elettorale è stato apertamente viziato e ha violato le leggi del nostro paese. Si è trattato di un comportamento criminale e illegale nel processo di voto. L’organo elettorale ZEC non ha adempiuto al suo mandato costituzionale non annunciando il risultato corretto“.
Diversi osservatori internazionali inviati nel paese hanno dichiarato che queste elezioni non hanno soddisfatto “i requisiti della costituzione dello Zimbabwe”. Tra questi la delegazione del SADC (Southern African Development Community) i quali hanno affermato che, sebbene il clima elettorale sia stato per la maggior parte pacifico, i sondaggi non hanno superato un test di credibilità. Una missione di osservatori dell’UE ha affermato che le elezioni si sono svolte in un clima di “paura”, mentre il segretario generale dell’ONU António Guterres si è detto “preoccupato per l’arresto di osservatori elettorali, le denunce di intimidazioni agli elettori, minacce di violenza, molestie e coercizione”.
Nonostante le varie denunce e le richieste internazionali, il partito ZANU-PF del presidente Mnangagwa ha espresso gratitudine ai suoi sostenitori e ha proclamato la vittoria del presidente come “meritata”, sottolineando che “continueremo a perseguire i nostri obiettivi mentre ci avviciniamo al Vision 2030”. Questa dichiarazione del partito suscita perplessità, specialmente considerando che una delle principali critiche mosse a Mnangagwa è quella di non essere riuscito a risollevare l’economia dopo cinque anni di governo. I livelli di disoccupazione e povertà, infatti, rimangono elevati nel paese, un tempo considerato il granaio dell’Africa meridionale.
Chi è Emmerson Mnangagwa
Mnangagwa, ora ottantenne, è salito al potere nel 2017 attraverso un colpo di stato non violento sostenuto dai militari contro l’ex presidente Robert Mugabe, a fianco del quale Mnangagwa ricopriva il ruolo di vicepresidente e capo dei servizi di sicurezza. Mugabe, che era al potere da trent’anni, faceva parte – come anche Mnangagwa – del partito ZANU-PF, che governa il paese ininterrottamente dal 1980, anno in cui lo Zimbabwe ottenne l’indipendenza dal Regno Unito.
In seguito Mnangagwa è stato poi ufficialmente eletto nel 2018, ma anche in quell’occasione le elezioni sono state caratterizzate da segnalazioni significative di frodi. Successivamente, Mnangagwa ha mantenuto uno stile di governo autoritario, ricalcando quello del suo predecessore e abbandonando il sogno socialista e di indipendenza che aveva originariamente promesso.
Questo è accaduto, in una nazione che ha affrontato e affronta tuttora profonde sfide legate alla povertà, ai devastanti effetti del cambiamento climatico e all’emigrazione, e le cui risorse minerarie e agricole sono concentrate nelle mani dei veterani della guerra di liberazione e dei sostenitori del partito ZANU-PF. Lo ZANU-PF, di stampo filosovietico, era stato tra i movimenti che lottarono per l’indipendenza nazionale contro il dominio coloniale britannico, facendosi carico di rappresentare le molteplici voci della Rhodesia rurale, sino ad allora ignorate. Oggi la trasformazione avvenuta sembra suggerire un partito che si è discostato dalla sua radice originaria, mostrando un’incapacità o forse un disinteresse nel dare spazio a qualsiasi altra voce o prospettiva oltre la propria.
Clara Gagliardone