Elettroshock sui pazienti omosessuali: università inglese si scusa dopo 50 anni

Elettroshock sugli omosessuali

L’università di Birmingham ha ammesso di essere stata sede, negli anni ’70, di alcune terapie di conversione particolarmente aggressive. La vicenda è stata portata a galla da un ex paziente, sottoposto a elettroshock per “curare” la sua omosessualità.

Chris ha 74 anni, è un cittadino britannico e ha recentemente ottenuto, dopo anni di battaglie, le scuse ufficiali dell’Università di Birmingham. Chris (nome di fantasia, adottato dalla BBC durante l’intervista) ha infatti riportato seri danni psichici a causa dei trattamenti ricevuti negli anni ’70 da alcuni ricercatori del Dipartimento di Psicologia, i quali si sarebbero proposti di “guarire” i pazienti omosessuali tramite l’elettroshock.

Durante le sedute Chris veniva collegato a degli elettrodi e piazzato di fronte a uno schermo, sul quale venivano proiettate immagini di varia natura. Ogni volta che il paziente si soffermava sulle foto con soggetti maschili, i ricercatori gli somministravano violente scosse elettriche. Subito dopo, sullo schermo comparivano immagini di donne, e le scosse si interrompevano.



Si tratta di una pratica conosciuta in psicologica come “terapia dell’avversione”: un trattamento che prevede di associare uno stimolo (le immagini di uomini, in questo caso) a sensazioni di disagio, o addirittura di vero e proprio dolore. Una forma di condizionamento che avrebbe dovuto spingere Chris ad abbandonare qualsiasi interesse nei confronti del sesso maschile, associando il desiderio al ricordo della sofferenza provata.

Elettroshock su pazienti omosessuali: il disturbo post traumatico di Chris

Chris ha raccontato alla BBC di aver intrapreso il trattamento su consiglio del medico di famiglia. Il dottore gli aveva suggerito di rivolgersi a uno psicologo dell’università, il quale avrebbe potuto guarire il suo “disturbo”. Le dolorose sedute di elettroshock andarono avanti per mesi, ovviamente senza modificare in alcun modo il suo orientamento sessuale.

L’unica conseguenza, per Chris, fu quella di sviluppare un grave disturbo da stress post traumatico: una condizione che lo avrebbe afflitto per tutta la vita. Una volta concluso il trattamento, i ricercatori incoraggiarono inoltre Chris a intraprendere una relazione eterosessuale. Fu così che il paziente conobbe la sua attuale moglie: la donna, consapevole del percorso a cui era stato sottoposto, decise di restargli accanto. I due sono sposati da quarantadue anni: nonostante il matrimonio non sia mai stato consumato, Chris afferma che non avrebbe potuto trovare un’amica migliore.

Convivere con il trauma

Nonostante l’omosessualità in Gran Bretagna non costituisse più reato dal 1967, essere gay negli anni ’70 non era certo una passeggiata. Non stupisce quindi che giovani come Chris decidessero di sottoporsi a terapie sperimentali, nel disperato tentativo di diventare “come tutti gli altri”, di essere accettati e di accettarsi.

Per molti l’omosessualità rappresentava un rischio anche a livello professionale; lo stesso Chris fu licenziato dalla scuola in cui insegnava, non appena il preside venne a sapere delle “cure” a cui si era sottoposto. In seguito a questo episodio, l’uomo ebbe difficoltà a trovare un nuovo impiego; molti esaminatori si rifiutarono persino di sottoporlo a un colloquio.

Per tutta la vita, Chris è stato seguito da medici e terapeuti, che hanno tentato di alleviare la sua sofferenza psichica. Fino a quando, tre anni fa, ha deciso che era arrivato il momento di voltare pagina; e l’unico modo per concludere quel capitolo così lungo e doloroso della propria vita era rivolgersi di nuovo all’Università di Birmingham. Non per un trattamento, questa volta: ma per ricevere delle scuse.

Chris ha deciso infatti di non intraprendere azioni legali. Come unica forma di riparazione, ha preteso che l’Università ammettesse le proprie colpe e si dissociasse dalle attività del passato. Una richiesta molto blanda, e tuttavia ignorata per anni dalle istituzioni universitarie. Fino ad oggi.

Le terapie di conversione: il passato oscuro della ricerca

Dopo anni di negazioni, l’Università di Birmingham ha finalmente riconosciuto di aver ospitato in passato terapie e cure sperimentali che prevedevano l’uso dell’elettroshock sugli omosessuali.

“Riteniamo che fosse totalmente inappropriato e ci rammarichiamo profondamente che si sia svolta un’attività potenzialmente dannosa.”

A voler essere precisi, il comunicato parla di casi isolati, portati avanti da pochi ricercatori che avrebbero agito di propria iniziativa, al di fuori della supervisione dell’università. Un’assunzione di responsabilità un po’ traballante, ma che ha comunque il merito di mettere in luce una tendenza diffusa presso alcuni ambienti di ricerca negli anni ’60 e ’70: quella di approcciarsi all’omosessualità come a una devianza, o una malattia, scatenata magari da vissuti traumatici, e modificabile con gli strumenti della scienza.

Oggi la comunità scientifica rifiuta ogni considerazione patologica dell’omosessualità. Medici, terapeuti e ricercatori hanno ripudiato le cosiddette “terapie di conversione”, ossia quelle pratiche pseudoscientifiche che mirano a modificare l’orientamento sessuale degli individui: non solo tramite le scosse elettriche, ma anche ricorrendo a farmaci, ipnosi o varie forme di ricondizionamento.  Nonostante il parere degli esperti, alcune di queste pratiche sono ancora tragicamente diffuse, e spesso non adeguatamente perseguite dalla legge.

Le terapie di conversione, oggi

In Italia non esiste una norma che vieti le terapie di conversione. Certo, la legge impedisce l’impiego dell’elettroshock per “convertire” i cittadini omosessuali; ma tace su pratiche apparentemente più blande, ma ugualmente dannose per la psiche dell’individuo. Come i gruppi di aiuto e di preghiera sponsorizzati da alcune realtà religiose, che concepiscono l’omosessualità come un disagio di cui liberarsi, e non una “variante naturale del comportamento umano” (secondo la definizione del World Medical Association). Inutile specificare quali conseguenze un simile processo possa avere sull’autostima  e sull’esperienza affettiva del malcapitato.

In Gran Bretagna, il Paese di Chris, si è a lungo parlato di introdurre leggi più specifiche; una proposta appoggiata già da Theresa May, e ribadita successivamente da Boris Johnson, il quale ha dichiarato “abominevoli” le terapie di conversione. Il nobile proposito non ha però dato frutti concreti. Di fronte a tanta titubanza, le vittime come Chris non possono che provare sgomento:

“Ho trascorso più di 40 anni nel dolore, e ho avuto una vita incredibilmente frustrante. Perché il governo non ha ancora vietato le terapie di conversione?”

Elena Brizio

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