Elettroshock di Cerletti: la cavia era un uomo “senza biglietto”

Elettroshock di Cerletti: la cavia era un uomo "senza biglietto"

L’ elettroshock di Cerletti ebbe come cavia un uomo che si aggirava per la stazione ferroviaria senza biglietto, pronunciando frasi sconnesse. L’ 11 aprile 1938 costui venne fermato dalla Pubblica Sicurezza e trasferito alla Clinica romana.

L’elettroshock di Cerletti (1877-1963) vide la luce nel 1938. Nato in provincia di Treviso, Ugo Cerletti si trasferì in giovane età a Roma, dove si iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Convinto di un profondo legame tra le discipline, a quel tempo definì “umanistico” il proprio modo di fare scienza.

Nel corso dei suoi studi, il giovane Ricercatore si recò due volte in Germania per frequentare le lezioni di Emil Kraepelin (1856-1926), fermo oppositore dei mezzi di contenzione. Al suo rientro a Roma, Cerletti diffuse all’interno del laboratorio le conoscenze che aveva acquisito, contribuendo ad accrescerne il prestigio in Europa. Ciò nonostante, nel 1910 non riuscì ad ottenere la cattedra di psichiatria a causa del carattere eccessivamente neurologico delle sue ricerche.

L’ allontanamento di Cerletti dal mondo accademico fu aggravato dallo scoppio della Grande guerra. In quegli anni il Ricercatore umanista inventò niente poco di meno che un ordigno ad esplosione ritardata: la spoletta. Tuttavia, terminata l’emergenza, lo stesso si disse deciso ad introdurre un metodo “pulito e innocuo” per la cura della schizofrenia.

La visita al macello

L’idea gli venne durante una visita al mattatoio di Roma quando, a seguito di una scossa elettrica, osservò i maiali avere degli spasmi prima di essere decapitati. Non v’era dubbio che si trattasse di convulsioni epilettiche, considerate da Cerletti come un meccanismo fisiologico di difesa contro la schizofrenia. Fu proprio la convinzione della rivalità tra le due patologie (epilessia e schizofrenia) a motivare lo Psichiatra nell’utilizzo dell’elettricità per la cura del disturbo mentale.

La carriera

Riavvolgiamo, per un momento, il filo del nostro discorso: nel 1925 Ugo Cerletti ottenne la cattedra di psichiatria; nel 1928 fondò, a Genova, un istituto di ricerca; nel 1935, infine, ricoprì anche il ruolo di direttore della Clinica romana.

Se vi fu un punto di svolta nella carriera del Cerletti, questo fu rappresentato, fuor di dubbio, dall’avvento del Fascismo. Il regime, di fatti, nel 1923 unificò i curricola di psichiatria e neurologia all’interno del percorso di studi della facoltà di Medicina, relegando la psicologia al rango di chimera. Fu allora che la predilezione dello Scienziato per la neurologia venne premiata.

L’ esperimento

Se l’Inventore era riuscito a spostare quello che definì il suo “hobby” dalla guerra al “piacere di guarire” i malati, diversamente dovette pensarla chi la terapia la subì. Dopo un breve esperimento sui cani, la mattina dell’11 aprile 1938 l’elettroshock di Cerletti venne sperimentato sull’uomo.

La cavia fu un individuo sulla quarantina, fermato dalla Pubblica Sicurezza alla stazione dei treni senza biglietto, mentre pronunciava parole sconnesse. All’istituto romano dove costui venne trasferito, decisero subito ch’era affetto da schizofrenia. Quindi venne fatto distendere su di un lettino e, circondato da un groviglio di fili elettrici fu sottoposto ad una scarica elettrica di 80 Volt per 1/5 secondo. 

Era evidente, scrisse Cerletti, la scarsità del voltaggio adoperato: il soggetto, infatti, immediatamente pregò di non essere sottoposto ad una seconda scossa. Fu allora che si procedette alla seconda scarica, pari a 110 Volt per 1/5 di secondo, a seguito della quale l’uomo, divenuto cianotico dopo un interminabile periodo di apnea, domandò se avesse dormito.

Quel paziente fu sottoposto ad altri sei elettroshock nel corso dello stesso mese, al termine del quale risultava, per chi lo osservò, ben orientato e capace di esprimersi. Diversamente osservò la moglie, sostenendo che il coniuge mostrava ancora gelosia nei suoi confronti, oltre ad esagerare con l’alcol.

Il successo

Il successo dell’elettroshock di Cerletti fu celebrato anche dalla stampa: la cura, venne scritto, poteva essere ripetuta più volte nell’arco di una sola seduta, in breve tempo e ad un prezzo contenuto. Infatti, una volta effettuato l’acquisto del macchinario, che la ditta Arcioni di Milano lanciò al prezzo di 4.600 lire,  per l’ospedale il gioco era fatto.

Non a caso, fu la miseria provocata dalla guerra -unita al protezionismo delle camicie nere- a trasformare l’elettroshock (una terapia low-cost) in un vero e proprio mito della tecnica, attorno al quale per troppo tempo calò -assordante- il silenzio della ragione. Questo arditismo scientifico per cui osare era sinonimo di successo, portò l’ordine medico a…

“Considerare il genere umano come una collettività di cavie da esperimento e a manomettere certi fondamentali diritti: come quello di morire e di impazzire.”

(Indro Montanelli, Corriere della Sera, 29 settembre 1949)

Riflessione, quella di Montanelli, che affida a noi posteri la responsabilità di mantenere alta l’attenzione verso particolari sistemi biopolitici (o, meglio, necropolitici).  Modelli che, proponendosi come neutrali, legittimano l’esistenza di vite il cui valore appare sacrificabile in nome di un’entità superiore comunemente chiamata “progresso”.

Federica Setti

 

 

Exit mobile version