Eleonora Magnifico: il mio corpo trans non ha nulla di sbagliato!

Eleonora Magnifico

Nella narrazione della transessualità, un costrutto va per la maggiore: quello della persona che nasce sfortunatamente in un “corpo sbagliato“. Eleonora Magnifico, conduttrice televisiva, cantante, performer e attivista queer, raccontandoci la sua esperienza di donna transessuale ci ha aiutato a capire i limiti di questo costrutto.

Il mio incontro con Eleonora Magnifico è avvenuto grazie al libro Sherocco (Fandango, 2023). Questo, raccogliendo gli interventi dei partecipanti alla prima edizione dell’omonimo festival tenutosi l’anno scorso a Ostuni, affronta una sfida importante. Cioè quella di pensare altrimenti, in modo libero e creativo, i temi di identità e desiderio in una comunità LGBTQI+ sempre più articolata e proteiforme. In questo contesto, con leggerezza e autoironia ma anche con fermezza e solide argomentazioni, Eleonora Magnifico diceva la propria sull’esperienza transessuale nel mondo contemporaneo.




Un corpo che evolve come una casa e come una bandiera

Cantante, performer, attivista e conduttrice televisiva per Telenorba, Eleonora Magnifico in Sherocco sottolinea l’importanza del lavoro culturale ancora necessario per raggiungere una vera eguaglianza. Infatti, scrive parlando della propria esperienza,

Sono una donna transgender ma NON SONO NATA IN UN CORPO SBAGLIATO. […] Nel mio sesso, nel mio genere, non c’è niente di sbagliato. […] Io penso di essere nata in un corpo che si evolve, attraverso la consapevolezza di un’identità precisa. Un’identità accettata, cercata, voluta e ritrovata.

Una posizione netta, che prende rispettosamente ma con decisione le distanze rispetto a un certo tipo (maggioritario) di narrazione della transessualità.

Volendo approfondire questa prospettiva, abbiamo raggiunto Eleonora Magnifico al telefono per un’intervista, nel corso della quale ci ha raccontato la sua visione del corpo, del desiderio e dell’identità. E ci ha dato modo di riflettere sugli ostacoli al pieno godimento di libertà e dignità che la comunità transessuale in Italia ancora oggi sperimenta.

In Sherocco tu scrivi di non essere nata nel corpo sbagliato: un’affermazione che si distingue molto dalla narrazione usuale della transessualità. Potresti spiegarci il senso di questa affermazione?

[Eleonora Magnifico]

«Hai ragione, ho sentito questo resoconto anche da molte amiche che hanno portato avanti il passaggio. Io non mi ritrovo in questo resoconto, il mio è un corpo in transito, non “sbagliato”. Definirlo “sbagliato”, secondo me, è un colpevolizzare (ulteriormente) quello che sono, la mia nascita, la mia vita, il mio percorso. E anche chi mi ha messo al mondo, come se qualcosa non fosse stato fatto a dovere.
Inoltre, dicendo “sbagliato” noi diamo per scontato che ci sia un corpo giusto: ma quale? Io non credo che esistano corpi giusti, così come non ne esistono di sbagliati.

Del resto, è anche vero che la mia identità e la mia soggettivazione non si limitano al corpo. Nel senso che io ho ritrovato la mia identità, me ne sono (ri)appropriata, attraverso una desinenza, quella femminile. Declinandomi prima per elezione e poi anche all’anagrafe con un nome che sentivo appartenermi. Con il riconoscimento del nome ho potuto presentarmi, firmarmi: questo è un elemento altrettanto importante.

Tornando al corpo, certamente esistono i generi: e io faccio parte di un genere. Sono una donna transessuale, non sarò mai una donna cis e nemmeno voglio replicare questo modello di donna. Ciò non toglie che io sono sicuramente femmina nella testa, nelle idee, nelle battaglie, e tante cose mi accomunano alle altre donne. Al tempo stesso, però, sono fiera del mio corpo trans che evolve nel tempo e che è la mia casa. Ma che è anche il mio contesto di emancipazione e affermazione. Per questo non posso accettare un’etichetta, “sbagliato”, che è quella imposta da una società che mi colpevolizza per quel che sono per puro preconcetto».

Qual è l’esperienza di una donna transessuale oggi in Italia?

[Eleonora Magnifico]

«Vorrei che accogliere il genere transessuale e il passaggio come una delle tante esperienze possibili di una persona fosse una cosa naturale. Purtroppo, però, così non è.

Le donne transessuali vengono ancora percepite da molti maschi, sul piano sessuale e affettivo, come una specie di trasgressione. Questo è terribile. Anche perché è radicato uno stereotipo che fa dire alla gente: “siete voi che siete leggere, che vi arrendete”. Ed è difficile far capire che invece c’è dietro una storia ben diversa.

Nondimeno, il presente è più gratificante per le nuove generazioni. Oggi le ragazze e le ragazzine sono più informate, maturano prima certe consapevolezze. Questo non necessariamente si traduce subito in determinate scelte, ma c’è la voglia di andare avanti, di contemplare quel percorso. Cosa che per generazioni un po’ più grandi è stata più difficile.

Per esempio, noi al Sud sentivamo parlare vagamente delle trans che andavano a Bologna e diventavano le regine del sabato sera. Era una cosa che non si poteva manco dire, non si poteva approfondire. Ci si diceva solo che quelli erano travestiti, partivano, battevano: si presumeva potessero fare solo quello. Oggi è diverso.

Tuttavia, il fatto che una persona transessuale possa ambire ad avere una famiglia sembra ancora fantascienza. Sul piano affettivo è particolarmente difficile, o quantomeno questo posso dire per esperienza. Succede spesso, per esempio, che i rapporti finiscano a causa della famiglia del/della partner. Molti non accettano che un figlio o una figlia possa impegnarsi stabilmente con una persona transessuale. Si vive nascosti, finché si può o lo si accetta, nelle piccole cose. Ed è uno scacco.
Ecco, questo è un aspetto di cui si parla e cui si pensa ancora poco: l’aspetto affettivo, il vissuto delle transessuali in questa dimensione».

Ce ne sono altri di particolarmente difficili che restano sotto traccia?

[Eleonora Magnifico]

«Be’, senz’altro c’è l’“obbligo di perfezione”, per così dire, che le transessuali vivono. Una donna transessuale oggi per essere accettata (termine e ordine di idee terribili) deve avere determinate caratteristiche sessuali. Ossia, nello specifico, deve non sembrare trans. Devi sembrare donna. E sperare così di sottrarti a un pregiudizio radicato. Che poi è quello, quando magari un uomo ti guarda o si relaziona con te, che fa arrivare l’amico e dirgli, con una risatina: “Oh, guarda che quella lì è trans“. Uno stato di cose cui possiamo provare a rimediare solo facendo informazione ed educazione alle differenze.

Perché l’alternativa è far vivere le persone trans nel dismorfismo, nell’esagerazione nella chirurgia estetica, nello sforzo spasmodico di somigliare a un modello. Un modello che è ancora più severo e inarrivabile di quello cui si sottopongono le donne cis. Non ci si può arrivare: la forma delle nostre mani, dei nostri piedi, dei nostri volti è quella che è, non possiamo amputarceli. E io onestamente non voglio stravolgermi completamente. Né trovo normale che una società, per darti la possibilità di vivere, esiga come pegno che tu ti senta in obbligo di farti questo».

Secondo te, un festival e un libro come Sherocco quanto possono fare la differenza? Non c’è il rischio che iniziative come queste raggiungano solo chi è già sensibile alle tematiche affrontate?

[Eleonora Magnifico]

«Senz’altro una grande differenza la fa la politica, in negativo come in positivo. In positivo, per esempio, devo rilevare che quest’anno Sherocco ha avuto il patrocinio del comune di Ostuni e che si sono registrate nuove alleanze istituzionali. Qualcuno, anche al di fuori della comunità, si è affacciato proprio grazie alla visibilità che è stata data alle iniziative.

Un festival come Sherocco serve proprio a presentare la cultura queer, a farla conoscere. Anche perché l’alternativa sarebbe chiuderla, l’alternativa sarebbe il silenzio. E questa, soprattutto in un momento storico in cui una certa politica tende a cancellarci, a negarci diritti, sarebbe una scelta suicida. Non potrei, chiaramente, quantificare l’impatto di questa iniziativa. Però credo che il fatto di rendere accessibile il messaggio che cerchiamo di dare sia irrinunciabile adesso».

Valeria Meazza

 

Exit mobile version