Eleonora Fonseca de Pimentel è stata una poetessa, scienziata, intellettuale che contribuì alla Rivoluzione Partenopea del 1799. Con la proclamazione della Repubblica, Eleonora diventa direttrice del Monitore Napoletano e sarà la prima giornalista politica donna della storia d’Italia.
Quando le truppe francesi entrano a Napoli il 13 gennaio del 1799, Eleonora Fonseca de Pimentel è da poco uscita dal carcere della Vicaria a Napoli dove ha trascorso gli ultimi mesi in orribili segrete, malata e maltrattata.
A ottobre è stata arrestata come cospiratrice contro la monarchia dei Borboni. Ha 43 anni. Da tempo è seguita dalle spie di Maria Carolina d’Austria, regina di Napoli.
La corte dei Borboni
Da giovane Eleonora Fonseca de Pimentel divenne bibliotecaria della Regina Maria Carolina grazie alle sue poesie, apprezzate da personalità come il Metastasio. Scrive sonetti dedicati al matrimonio della Regina Maria Carolina con il Re Ferdinando, alla nascita dei loro figli e altri grandi eventi.
La sua non è piaggeria, ma una sincera fiducia nella monarchia riformatrice che nei primi anni sembrava promettere la politica di Maria Carolina. La regina austriaca dettava legge alla corte dei Borboni. Cercava di imitare le eccentricità della corte francese di sua sorella Maria Antonietta e amava circondarsi delle migliori menti napoletane, illuministi come Gaetano Filangieri e Domenico Cirillo, amici di Eleonora.
Il marito invece, Re Ferdinando, detto Re Nasone, amava il buon cibo, la caccia, le donne. Famose restano le sue battute da caccia dove gli animali venivano messi in zone recintate da cui era impossibile fuggire.
La Monarchia assoluta non è eterna
Tutto cambia con lo scoppio della Rivoluzione Francese e soprattutto con la decapitazione di Maria Antonietta.
La Regina di Napoli viene presa da una furia vendicativa che, come lei stessa scrive, si spegnerà solo nella tomba.
Dichiara guerra non solo ai Francesi, ma a tutti coloro che professano idee repubblicane. Come scriveva al fratello Leopoldo
La Costituzione è un assurdo, ma sarà capace di seminare ovunque idee di rivolta.
La Costituzione di cui parla Maria Carolina è la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino emanata a Versailles nel 1789: uguaglianza politica e sociale di tutti i cittadini, ammissione di ogni cittadino ai pubblici impieghi, uguaglianza davanti alla legge, rispetto delle opinioni e delle credenze, libertà di parola e di stampa.
Questo è quello che sogna per Napoli e l’Italia Eleonora Fonseca De Pimentel, insieme ai suoi amici illuministi.
Così anche Eleonora Fonseca de Pimentel diventa una pericolosa sovversiva, è lei che intrattiene e riunisce i giuristi, i medici, gli intellettuali più fervidi e repubblicani di Napoli. I repubblicani partenopei sono per i Borboni pericolosi giacobini. Ma, a ben guardare, come scrive Maria Antonietta Macciocchi in Cara Eleonora
Si diffondeva tra loro un’ideologia per nulla giacobina alla francese, e niente affatto estremista, in quanto essa fondava le sue radici in una tradizione culturale autonoma, da Vico a Genovesi a Filangieri, in una propria identità che modificava fin dalle origini il modello duro del giacobinismo d’oltralpe. La non violenza era uno dei suoi tratti caratteristici.
La Regina organizza una rete di spie per la distruzione dei giacobini napoletani
Un’operazione che nulla avrà da inviare a quella conosciuta sotto il regime nazista.
La Repubblica Napoletana
Nel 1796 le armate francesi guidate dal generale Napoleone Bonaparte avanzano oltre le Alpi e portano i principi della rivoluzione francese e della Repubblica in Italia: 20.000 soldati francesi e molti volontari italiani si uniscono. Vengono istituite le Repubbliche Cisalpina, la Repubblica Ligure e la Repubblica Romana.
Il Re Ferdinando fugge a Palermo, sulla nave di Horatio Nelson, amico della Regina. Il Re porta via tutto, anche il tesoro del regno. Il suo incaricato firma l’armistizio con i francesi che entrano a Napoli e si trovano costretti a scontrarsi con la popolazione più povera e indigente, i Lazzari.
Il popolo non è quello delle barricate parigine: è affamato come a Parigi, ma sta dalla parte di chi lo affama, il Re.
Alexandre Dumas nella sua avvincente Storia dei Borbone di Napoli racconta
Si sa con quali mezzi il popolo napoletano era stato sospinto al più alto grado di esaltazione contro i francesi, dalle sorde mene degli agenti realisti e dai predicatori pubblici, dai preti nelle chiese, dai monaci sulle vie.
La guerra civile continua nelle strade finchè il 15 gennaio i Repubblicani riescono a conquistare Castel Sant’Elmo. Eleonora Fonseca de Pimentel guida le donne ed entra anche lei a Sant’Elmo.
Il 23 gennaio 1799 viene dichiarata la Repubblica Napoletana: piantano l’albero della libertà e issano il nuovissimo tricolore italiano. Napoli è in festa. Il 27 gennaio il sangue di San Gennaro si scioglie davanti al comandante francese Championnet (Napoleone è andato a combattere in Egitto).
Il popolo napoletano si rassegna: San Gennaro è Giacobino.
Ma non basterà neanche questo per convincere i napoletani. Addirittura, come racconta Croce, per vendicarsi della virata francese di San Gennaro, reo di aver sciolto il suo sangue per ben tre volte davanti ai francesi, i napoletani sceglieranno Sant’Antonio come protettore della città per lungo tempo.
Il Monitore Napoletano
Il primo numero esce il 2 febbraio 1799 e inizia così
Siam liberi finalmente!
Nei 35 numeri pubblicati da Eleonora Fonseca de Pimentel, ormai cittadina Pimentel, si esprimono la sua fede patriottica e le sue idee per una Repubblica sempre più forte. Si dedica soprattutto alle questioni sociali, al popolo napoletano. Consapevole dell’ostilità con cui il popolo ha accolto i repubblicani ne esalta il vigore
La plebe diffida dei patrioti perché non gli’intende
Per questo incoraggia i Repubblicani a parlare e scrivere in dialetto per diffondere gli ideali e le riforme repubblicane. Suggerisce la presenza di persone che leggano ad alta voce per chi non sa leggere e la realizzazione di canzoni e spettacoli di puppi e burattini per esaltare i valori della democrazia.
Una repubblica senza radici e senza forze
Così la definisce Benedetto Croce in Studi Storici sulla Rivoluzione Napoletana del 1799.
Il 1 aprile viene promulgata la Costituzione Napoletana. Nonostante le riforme utili al popolo, la Repubblica non ne conquista i favori. Eleonora Fonseca de Pimentel racconta di una difficile comunicazione delle attività del nuovo governo alla province. Si abroga la legge feudale e quasi nessuno viene a saperlo. Le casse dello Stato sono vuote e l’esercito francese si macchia di ruberie ed espropriazioni.
Eleonora Fonseca de Pimentel non esita a denunciarli sul Monitore, rischiandone il sequestro.
Intanto il Cardinal Fabrizio Ruffo costituisce l’armata della Santa Fede, una guerra santa in nome di Dio. Ruffo vuole impedire la scristianizzazione d’Italia e dalla Calabria. Raccoglie volontari e avanza verso Napoli. I francesi, con la sconfitta di Napoleone ad Abukir da parte della flotta di Nelson, devono ritirarsi a Nord e lasciano la città di Napoli.
La capitolazione
All’entrata dei Sanfedisti a Napoli si uniscono i Lazzari. I Repubblicani si barricano a Sant’Elmo. Il Cardinale Ruffo tratta con loro e firma per la capitolazione, ovvero la possibilità per i Repubblicani di salpare con le navi e andare in esilio in Francia. Così i Repubblicani vengono mandati sulle navi della flotta inglese e Borbone, in attesa di salpare per la Francia. Tra di loro c’è Eleonora Fonseca de Pimentel.
Ma Re Ferdinando e la Regina Carolina vogliono vendetta e convincono Nelson a tradire gli accordi presi. Vogliono la forca: 500 prigionieri vengono riportati a terra e gettati nelle carceri in attesa di processo come traditori della patria. In realtà è il Re che è fuggito e ha dato il benestare per firmare un armistizio con i francesi, quindi diventa paradossale nei termini del diritto che i cittadini rimasti nel paese sotto un governo regolare siano accusati di tradimento, ma così accade. La vendetta deve essere esemplare e deve rimanere impressa nella mente delle persone per lungo tempo.
Eleonora Fonseca de Pimentel è tra coloro che vengono riportati a terra in carcere. I re non dimenticano le parole da lei usate per condannare le loro azioni, ordinano la ghigliottina.
La ferocia di Re Ferdinando
Re Ferdinando è deciso a punire i ribelli a dio e a me.
Vincenzo Cuoco, uno dei pochi repubblicani riuscito ad andare in esilio, due anni dopo scriverà il bellissimo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana dove afferma
Mai vista una repressione così crudele
Cuoco descrive le morti dei suoi compagni, uno ad uno. Sono le migliori menti della società napoletana come il medico Domenico Cirillo, l’amatissimo ammiraglio Francesco Caracciolo, il sacerdote e giurista Francesco Conforti, Vincenzo Russo. Muoiono tutti con estremo onore e consapevolezza della loro scelta.
Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo
Eleonora Fonseca De Pimentel, con altri 8, andiede alla morte con intrepidezza, ricorda un contemporaneo.
Vincenzo Cuoco racconta che bevve un caffè e salendo sul patibolo disse in latino
Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo.
Ricordare è indispensabile per far fiorire i semi dei sacrifici di chi ha dato la vita per trasformare le sofferenze e le ingiustizie della società. Eleonora Pimentel de Fonseca non è l’unica a saperlo. Anche Croce, parlando della reazione inusitata di Re Ferdinando, afferma
è una di quelle colonne infami che la civiltà deve innalzare per ricordare i limiti che, nelle necessarie lotte sociali, non è lecito calpestare, da chi non voglia trarsi fuori dell’umanità.
Re Ferdinando, di quelle morti del 20 agosto 1799 scrisse da Palermo che l’allegria era ritornata finalmente a Napoli. Si lamentò di come il popolo avesse dovuto attendere alcune ore l’esecuzione dei prigionieri, rovinando loro il divertimento. Ma nessun sacrificio accade invano. E come ribadisce Croce, la Repubblica Napoletana fu un avvenimento storico che
mettendo a nudo le condizioni reali del paese, fece sorgere il bisogno di un movimento rivoluzionario fondato sull’unione di tutte le classi colte di tutte le parti d’Italia e gittò il primo germe dell’unità italiana.