Elena Ferrante e la scelta negata di una riservatezza rivendicata

Elena Ferrante

Elena Ferrante è una delle autrici italiane in vita più conosciute al mondo. O meglio lo sono le sue storie rifinite da una mano esperta che chiede di restare nell’ombra per lasciare le luci della ribalta ai veri protagonisti spesso dimenticati: i libri.

Elena Ferrante

Elena Ferrante è una delle scrittrici più lette ad oggi nel panorama mondiale. I suoi volumi sono stati tradotti in varie lingue e solcano le classifiche non solo europee ma anche americane. Della mente che ne agiterebbe i fili non si sa quasi nulla se non le poche e selezionate informazioni che la stessa autrice ha confezionato per il pubblico.

Una scelta che ha fatto storcere il naso ai curiosi, ma che tradisce un culto nei confronti dell’arte della scrittura; troppo spesso sacrificata ad una fama effimera dell’immagine e dell’apparire.

La Ferrante prima della pubblicazione del suo primo volume (L’amore molesto, 1991) aveva indirizzato una lettera alla propria casa editrice. Dichiarando che non avrebbe partecipato ai festeggiamenti nel mondo del marketing contemporaneo. “Credo che i libri una volta scritti non abbiano più bisogno dei loro autori, se hanno qualcosa da dire prima o poi troveranno dei lettori” scriveva.

Negli anni le uniche informazioni sulla donna sono state trasmesse nella forma alla quale la stessa avrebbe dimostrato il suo più profondo rispetto: quella scritta.

In un’intervista rilasciata nel dicembre del 2015 la Ferrante sottolineava come la sua fosse una lotta culturale; finalizzata a garantire alla scrittura il recupero di quello spazio che meriterebbe, ma non le verrebbe più riconosciuto dalle logiche del mercato. In cui ci si perde tra i colori della forma senza assaporarne la sostanza.




Le donne e la scrittura

Nonostante la chiara volontà dell’autrice di lasciare la propria vita privata dietro le quinte del successo , tante sono le inchieste giornalistiche che si sono svolte sul tema. Tra le varie ipotesi emerge anche  quella secondo la quale Elena Ferrante sarebbe solo uno pseudonimo alle cui spalle si celerebbe in realtà una figura maschile. Alquanto ingiustificata secondo la gran parte degli esperti ma immancabile in una dimensione in cui la scrittura sembra essere femminile solo dal punto di vista grammaticale.

Una misoginia tratteggiata con vivido inchiostro nel lungo capitolo sulle donne come era accaduto nei confronti delle Bronte. Dietro la cui estrosità non pochi avevano intravisto l’ombra tormentata del fratello Branwell. Tesi poco sostenibile in particolare se si pensa ad una realtà editoriale che era preclusa quasi integralmente al genere femminile e le costringeva a ricorrere a finte identità maschili pur di far danzare il pennino sul foglio. La dignità del mestiere della composizione per secoli verrà considerata fuori dalla portata femminile. Dove la famosa stanza tutta per sé della Woolf resterà chiusa a doppia mandata impedendo alle donne, eterne Beatrici in un paradiso che non hanno contribuito a disegnare,  di raccontare e raccontarsi. Sono solo gli uomini a scrivere e costruire, mentre le donne fanno da comparse in un mondo che non sono state abituate a leggere.

La scrittura un’arte dimenticata

La scelta di Elena Ferrante rivela un amore e una passione profondi per la comunicazione grafica che non sono oramai così scontati per gli artigiani delle parole. La società attuale è la chiara rappresentazione di come le immagini abbiano preso il posto della voce, in un braccio di ferro dove l’esteriorità vince il duello con la lingua, scintilla dello spirito.

I social ne sono un esempio calzante. E’ sufficiente pensare allo scrollare compulsivo sulla home di Instagram, regno di ciò che si vede; che eclissa le frasi poste a cornice di foto fresche di modifica. Frasi che nessuno legge, forse neanche chi le scrive.

La Ferrante a tutto questo si oppone, rivendicando il proprio spazio sulla pagina bianca  di un manoscritto ancora da comporre. Si racconta poco ma con la certezza di comunicare la sua verità, non sfocate versioni di una sé modellata da chi, solo osservandola,  pretende di capirla e conoscerla.

Pur non essendo i suoi testi autobiografici, come in più occasioni confermato dalla scrittrice, lascia condurre il dialogo alle sue creazioni. Che del resto altro non sono che gli origami dell’anima di qualsiasi appassionato narratore. Ai lettori chiede infatti di cercarla tra le righe dei suoi romanzi, unica versione autentica tra mille letture apocrife.

Sofia Margiotta

 

 

 

 

 

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