Pregi e difetti di Election Year, un film dalle enormi potenzialità.
La saga de La notte del giudizio (in inglese The Purge) continua al cinema con il suo terzo capitolo: Election Year. Dopo il successo del primo film, stracolmo di difetti ma accattivante, e il netto passo in avanti del sequel Anarchia, le premesse per sperare che questa volta si fosse fatto ancora meglio c’erano tutte.
L’idea che sta alla base di questa trilogia è stata fino ad ora la carta vincente del franchise: in un futuro distopico il governo degli Stati Uniti rende legale per una notte all’anno qualsiasi tipo di crimine (anche l’omicidio), permettendo alla popolazione di sfogare i propri istinti violenti come in un rito purificatorio. Le potenzialità di questa idea così semplice sono enormi, aprendo ad un discorso di stampo sociale molto interessante: durante lo “sfogo”, a morire per mano degli assassini mascherati che girano per la città sono in genere gli elementi più deboli della società. In pratica i poveri si fanno massacrare per permettere ai ricchi e ai potenti di prosperare.
Una dinamica politica potentissima che viene solo accennata nel primo film, leggermente più approfondita nel secondo e che in questo terzo capitolo, dove la protagonista è proprio una candidata alla presidenza, sarebbe dovuta esplodere.
Peccato che questo non sia affatto avvenuto. Gli autori non hanno rischiato nulla, lasciando la tematica politica a livello basico senza aggiungere niente in più alle premesse narrative. Il messaggio di fondo è chiaro fin dall’inizio. I buoni sono buoni, i cattivi sono cattivi. Semplice, lineare, scontato.
Anche a livello tecnico i problemi non mancano: la sceneggiatura in primis è a dir poco problematica, piena di buchi narrativi, battute fiacche e personaggi piatti e statici. Le scelte registiche di James DeMonaco, inoltre, non aiutano. Tutto sembra troppo carico: dalla recitazione a dir poco sopra le righe di alcuni caratteri, alla fotografia che rende difficile da seguire le scene d’azione eccedendo nel contrasto tra luci e ombre.
Election year è dunque un’occasione mancata? Sì, ma solo in parte. I punti a favore ci sono e possono tranquillamente bastare per un pubblico non esigente. La narrazione è incalzante e non annoia mai, l’ambientazione è piena di carattere e molte scene colpiscono per originalità e impatto visivo. La pellicola intrattiene più che a sufficienza, riuscendo ad aprire questioni interessanti che meritano una riflessione.
Purtroppo, alla fine, si ha la sensazione che queste domande restino senza risposta e che la materia trattata sia priva della profondità che meriterebbe. Election year, insomma, piacerà senz’altro ai fan della saga che, però, resteranno un po’ con l’amaro in bocca e con la speranza che il prossimo capitolo riesca nel salto di qualità che finora è mancato.