Egitto e Baltagiya costituiscono un’accoppiata da temere.
Baltagiya significava sicario, per poi diventare sinonimo di teppista o banda criminale. Ed è proprio di criminali che si tratta, gente che non ha niente da perdere e molto da guadagnare. Il binomio composto da Egitto e Baltagiya ha una lunga storia, anche se discontinua.
Negli anni ’80-’90 il legame tra Egitto e Baltagiya era differente.
Le bande non erano politicizzate, ma solo utilizzate per svolgere raid violenti al posto della polizia. Poi la storia le ha viste passare per la Rivoluzione di Piazza Tahrir, la Battaglia dei Cammelli, la strage dello stadio a Port Said, le manifestazioni dei Fratelli Musulmani.
L’apparizione più recente pare risalga al 20 giugno scorso, davanti al carcere di Tora. Si tratta del carcere alla periferia del Cairo in cui sono reclusi i detenuti politici per reati di coscienza. Tra essi non possiamo non ricordare Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna arrestato il 7 febbraio con l’accusa di propaganda sovversiva su Facebook.
Tra i detenuti del carcere di Tora c’è poi Alaa Abdel Fattah. Fattah è rinchiuso dal 29 settembre 2019. Sua madre Laila Seif, e le sue sorelle Mona e Sanaa Seif, erano impegnate da settimane in una protesta nei confronti delle autorità carcerarie e del ministero dell’Interno egiziano, chiedendo di poter comunicare ed avere notizie del loro figlio e fratello.
Proprio loro, Laila, Mona e Sanaa, sono state vittime, lo scorso 20 giugno, di un’aggressione in piena regola.
Delle donne totalmente sconosciute le hanno accerchiate, picchiate con dei bastoni e derubate dei loro averi. Il tutto sotto gli occhi di polizia e guardie carcerarie, che però non hanno mosso un dito.
Tutto procedeva come al solito, lunghe e inutili attese, quando siamo state avvicinate da un gruppo di donne in abiti civili. Hanno iniziato a fare delle domande, poi si sono avvicinate mettendo le mani dentro le nostre borse, toccandoci e infine passando alle vie di fatto. Sono cominciate le molestie, poi le botte, usando anche dei bastoni. Io e mia sorella Sanaa abbiamo lividi e ferite su tutto il corpo. Lei, in particolare, molto profonde, tanto da dover andare in ospedale. Di quelle donne ne arrivavano in continuazione e mentre una parte ci picchiava, altre hanno preso le nostre borse, potandoci via tutto, soldi, documenti e cellulari. Fortuna che il mio lo avevo lasciato in macchina. Era una banda ben organizzata e protetta, inviata per uno scopo preciso. Le risate e gli incitamenti degli agenti di guardia a Tora ne sono la prova.
Questo il racconto della stessa Mona Seif a Il Fatto Quotidiano. La donna ha visto poi, soltanto tre giorni dopo, rapire sua sorella Sanaa, ed ha diffuso il video del fatto, per dimostrare come tutto sia avvenuto in pieno giorno e davanti a numerosi testimoni.
Le associazioni per i diritti umani chiedono a gran voce la liberazione di Sanaa, prime tra tutte la Commissione egiziana per i diritti e le libertà e Amnesty International.
E proprio Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha spiegato il nesso tra Egitto e Baltagiya e l’episodio dello scorso giugno.
Tutti lo sanno, quelle donne non sono semplici passanti che si trovavano lì, fuori dal carcere, per caso. Si tratta di una banda organizzata, capace di svolgere un ruolo ben preciso con estrema efficacia, potendo contare sulla totale impunità da parte della polizia e delle guardie penitenziarie, inermi davanti all’aggressione. Il nesso tra quell’episodio e l’entrata in azione delle Baltagiya è evidente. Il regime usa qualsiasi mezzo per mettere in atto una intimidazione di Stato. Non è difficile reperire manovalanza per brutali azioni repressive in un clima generale di grande paura e di estrema povertà, dove le tensioni sociali non mancano. Il regime vede nemici dietro ogni figura, chiunque può passare in breve tempo da eroe a traditore della patria. Ed ecco spuntare le Baltagiya, composte da persone facilmente arruolabili, senza alcun legame ufficiale con gli apparati dello Stato.
Pare che, addirittura, mischiati tra i criminali delle Baltagiya ci siano spesso agenti in borghese che coordinano le azioni mantenendo l’anonimato.
A fine maggio è stato poi concesso un indulto dallo stesso al-Sisi, che porterà alla liberazione di 530 detenuti. Nessun prigioniero politico però, ça va sans dire, 530 criminali che probabilmente andranno a ingrossare le fila delle Baltagiya.
L’Egitto insomma continua a colpire e insabbiare, se è possibile sempre di più e peggio, come nel caso dell’omicidio del nostro Giulio Regeni, per il quale continueremo a chiedere, sempre, comunque e a gran voce, la verità.
Mariarosaria Clemente