Quante volte ci chiediamo da dove nasca il male? A tutti noi nella vita sono capitate situazioni difficili da sopportare, e a nostro avviso ingiuste. Generalmente si considera il male come una condizione intrinseca alla persona.
Chi nasce cattivo rimarrà cattivo , viceversa chi nasce buono avrà la tendenza a rimanere tale.
Una prima visione letteraria su questo argomento ce la fornisce Hannah Arendt, nel 1960-1962, con il suo resoconto del processo ad Eichmann.
Funzionario e criminale di guerra tedesco considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio di ebrei durante il Nazismo fu processato in Israele nel 1961.
L’autrice con il suo libro ‘’La banalità del male ’’ oltre che fornirci una descrizione completa del processo, ci regala una riflessione sulla natura e sul pensiero umano. Eichmann era considerato una persona normale, non uno psicopatico e nemmeno una persona di levatura intellettuale alta rispetto alla media.
Non era un uomo stupido ne tanto meno cattivo, cosa che sarebbe stata molto più plausibile dopo quello che aveva combinato. era semplicemente un uomo comune senza obiettivi e senza idee, alienato in una condizione di obbedienza agli ordini. Non si era mai posto il problema di quello che stesse facendo, non aveva idea delle atrocità e delle sofferenza che stava causando a milioni di persone.
L’essere inconsapevole del male innesca un processo di mancate responsabilità verso quello che moralmente sarebbe giusto fare.
Un’altra analisi ce la offre il più grande studioso del male, Philip Zimbardo. Professore universitario e psicologo di fama mondiale ha concentrato i suoi studi e le sue ricerche sull’origine del male.
Su come le persone buone potessero arrivare a commettere crimini ed attuare comportamenti cattivi, il cosiddetto ‘’Effetto Lucifero’’. Uno degli esperimenti passati alla storia condotto da Zimbardo è quello di Stanford.
Col l’aiuto di un ex detenuto, gli autori del gioco riprodussero un vero e proprio carcere assicurandosi di rendere il tutto più realistico possibile. Furono reclutati i 24 studenti che risultavano mentalmente più stabili, e gli fu assegnato a random il ruolo di guardia o carcerato. L’esperimento sarebbe dovuto durare due settimane ma fu interrotto il sesto giorno.
Si notò che gli studenti che interpretavano le guardie assunsero comportamenti violenti e sadici, perdendo ogni rapporto con la realtà.
Questo esperimento ci dimostra che la società ci forma e ci condiziona oltre ogni ragionevole dubbio.
Il gruppo ci fa sentire tutti uguali, ci porta ad un fenomeno di deindividualizzazione ed alla perdita del sé. Con il potere l’individuo crede di essere legittimato ad assumere comportamenti vessatori nei confronti dei suoi sottoposti, uno dei fenomeni scatenati da questo presupposto è il bossing. Si tratta di una forma di mobbing messo in atto da un superiore nei confronti dei sottoposti.
Consiste nell’attuare comportamenti ai limiti del sopportabile, nell’umiliare apertamente il lavoratore e declassare il suo lavoro assegnandogli compiti più basici rispetto alle sue possibilità. Controlli ripetuti senza motivo, critiche ed offese sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano il bossing.
E’ per questo che conoscersi e conoscere i nostri diritti di lavoratori è importante, soprattutto per non farsi alienare dalle situazione e ragionare a mente lucida decontestualizzando il problema.
Veronica Ganguzza