Effetto Brexit: il rimorso degli inglesi per l’Unione europea

Effetto Brexit: l'impatto negativo sull'economia britannica.

A sette anni dal referendum che confermava l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, gli ultimi sondaggi di YouGov mostrano che la maggior parte della popolazione inglese si sia pentita di tale scelta. Le cause principali di questo rimorso comune vanno ricercate sul lungo e difficile processo di adattamento, durante il quale si sono verificate complicazioni sia a livello politico sia a livello economico.

Ad oggi, l’effetto Brexit ha causato l’aumento del malcontento generale della popolazione inglese, portando la percentuale di persone propense a rientrare nella rete di alleanze europee a livelli mai raggiunti prima.

Nel 2016, quando la Gran Bretagna venne chiamata a decidere le sorti della nazione in merito alla Brexit, il Paese era nettamente spaccato in due fronti: Irlanda del Nord e Scozia erano favorevoli a rimanere nell’Ue, mentre Galles e Inghilterra erano contrari.

La valutazione degli sviluppi dell’effetto Brexit secondo il nuovo sondaggio di YouGov

Secondo l’ultimo sondaggio condotto da YouGov, oltre la metà dei cittadini inglesi afferma che la Brexit è stata uno sbaglio. Infatti, il 58% della popolazione del Regno Unito vorrebbe tornare nell’ Unione europea. Ciò è dipeso soprattutto dalle promesse fatte in campagna dai separatisti, che sono state disattese e hanno, invece, influito negativamente sull’economia britannica.

Le percentuali che riguardano questa mutazione repentina di prospettiva in merito alla Brexit stavano subendo un’alterazione già dal 2021. A condizionare tale processo, si sono inseriti anche i nuovi elettori, ovvero coloro che nel 2016 non avevano ancora raggiunto l’età consona per il diritto di voto. I dati, infatti, dimostrano che il cambiamento demografico è alla base della modifica dell’opinione pubblica, in quanto 4 giovani su 5 tra i 18 e i 24 anni vorrebbero il reinserimento del Regno Unito nell’Ue.

Altri dati importanti riferiti dal sondaggio di YouGov, rivelano che il 29% degli intervistati, rispetto al 21% del 2021, non esclude che la Gran Bretagna possa ritornare a far parte dell’Unione europea. Il 42%, invece, sostiene l’improbabilità che altri Paesi seguano l’esempio inglese, percentuale elevata se si pensa che solamente tre anni fa questo dato era fermo al 26%.

Un altro elemento rilevante e di grande importanza è rappresentato dalla percentuale che vede il 25% degli intervistati affermare la loro fiducia alla Commissione europea, rispetto al 24% che ancora dà più fiducia al governo del Regno Unito, rispetto agli organi istituzionali europei.

L’effetto Brexit tra Leavers e Remainers

Si è passati dalla vittoria dei Leavers (coloro che volevano l’uscita del Regno Unito dall’Ue) alla nascita del mito “stab in the back” (letteralmente “coltellata alla schiena”), che raggruppa vecchi e nuovi Remainers (coloro che volevano rimanere nell’Ue) accomunati da un nostalgico ricordo del Regno Unito come Stato membro dell’Unione.




Nel 2019, sia Leavers che Remainers si trovavano d’accordo sull’affermare che la Brexit rappresentava un passo importante per la loro identità, ma attualmente questa percentuale è diminuita dal 50% al 39%. Soprattutto tra i Leavers, c’è stato un ridimensionamento dell’importanza di tale tematica rispetto agli impegni pubblici. Grazie a questa depolarizzazione intorno alla Brexit, il governo britannico ha avuto l’occasione di cooperare con l’Unione europea in diverse circostanze.

Infatti, i sondaggi affermano che i rapporti stretti nel 2020 tra Unione europea e Regno Unito non mettono d’accordo molti cittadini britannici, anche se per il 26% di essi è ancora troppo presto per poter esprimere una valutazione oggettiva sui progressi, positivi o negativi, della Brexit.

John Curtice, professore di politica alla Strathclyde University, afferma che la grande maggioranza di persone intervistate da YouGov , ha riferito che il loro cambio di rotta in merito all’approvazione della Brexit è la conseguenza delle difficoltà economiche che la politica isolazionista attuata dopo l’uscita dall’Unione europea sta causando al Paese.

Il Regno Unito è l’unico Paese del G7 con una prospettiva economica in calo nel 2023

L’effetto Brexit ha avuto un’influenza negativa soprattutto sul piano economico britannico e sta indebolendo fortemente la crescita del Paese. Il Pil è diminuito del 4% per due ragioni principali:

  1. La riduzione degli investimenti privati, inferiori del 19% rispetto agli altri membri del G7;
  2. La scarsità di manodopera europea che si è verificata in seguito all’uscita del Regno Unito dall’Ue.

Infatti, i livelli di manodopera che sono venuti a mancare ammontano a una quantità pari a 370mila lavoratori che, influendo sull’offerta di lavoro, ha avuto come inevitabile conseguenza l’apprezzamento dei salari e l’aumento dell’inflazione, già elevata a causa dei picchi dei beni energetici.

I dati dell’FMI riportano che l’inflazione fra i 2022 e il 2023 scenderà solamente dello 0,1%, ovvero dal 9,1% del 2022 al, calcolato, 9% del 2023, in uno scenario europeo in cui al contrario è prevista una notevole frenata generale.

Anche le parole del vice-governatore della Banca d’Inghilterra (BoE), Ben Broadbent, confermano l’impatto negativo della Brexit sul Pil e sulla crescita dell’economia del Regno Unito:

«ha abbattuto la produzione potenziale nel nostro Paese nella nostra valutazione per molti anni.

Inoltre, Broadbent tende a specificare che l’effetto Brexit sta colpendo l’economia britannica molto più rapidamente rispetto alle previsioni e alle valutazioni effettuate precedentemente dalla BoE.

Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale sull’economia britannica

Secondo l’FMI, l’economia del Regno Unito sarà l’unica, rispetto alle economie dei membri del G7, che vedrà un regresso stimato al 0,6%.

Nello scenario economico dei Paesi industrializzati, la Gran Bretagna è la sola ad avere un’economia in retrocessione nel 2023, posizionandosi addirittura sotto Paesi emergenti come ad esempio la Russia, nonostante quest’ultima sia pesantemente danneggiata dalle sanzioni internazionali.

Le cause principali di questa recessione sono riconducibili, secondo le stime dell’FMI, a diversi fattori, tra cui: le politiche più restrittive rispetto alla spesa pubblica adottate dal Regno Unito dopo la Brexit, al costo dell’energia che grava sulle famiglie, agli elevati tassi di interesse e, sintetizzando, alla Brexit stessa.

La crisi economica e della sanità inglese, aggiunta alla perdita del potere d’acquisto della popolazione, sono alla base della crescita del malcontento generale e della delusione in merito alla scelta di lasciare l’Unione europea.

Basta pensare al balzo che ha avuto l’inflazione dei beni alimentari o al numero di società fallite in Galles e Inghilterra durante lo scorso anno, che ha raggiunto una delle percentuali più alte dell’ultimo decennio. Ad oggi, migliaia di lavoratori sono uniti da una volontà di protesta che non si vedeva da anni.

Il clima che si respira nel Regno Unito

Il Premier Sunak ha tra le mani una sfida a dir poco difficile che tenta di contrastare continuando a fare promesse ad una popolazione che è tuttora travolta delle ripercussioni di impegni non mantenuti e che sono il principale motivo del calo della fiducia nelle istituzioni inglesi.

E nel mentre, a dare ragione al malcontento dell’opinione pubblica, si schiera Guy Hands, noto investitore e finanziere della City, che infierisce contro la Brexit affermando:

«È stata un completo disastro, un mucchio di totali bugie»

Andrea Montini

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