L’educazione civica in Italia come spettro di una società inesistente
Dall’inizio del nuovo millennio molteplici sono stati i cambiamenti introdotti all’interno del Ministero dell’Istruzione, con l’alternarsi dei vari governi, portando con sé confusione e purtroppo pochi effettivi miglioramenti all’interno del sistema scolastico nazionale. Dopo l’instaurazione del nuovo governo Lega- Cinque Stelle, rappresentato da Giuseppe Conte, si è parlato di opinioni contrastanti riguardanti le possibili modifiche all’interno dell’Istruzione, ministero capitanato da Marco Bussetti, al momento concluse con un nulla di fatto. Eppure, sin dai primordi dell’ instaurazione delle società civili, politica e cultura sono sempre state due forze convergenti, linee parallele in direzione del progresso.
Sì, perché è proprio la cultura, più della politica, a poter realmente cambiare il mondo. Sono le menti che conoscono, che possono concepire il modo di agire per il meglio, ad avere il potere d’azione per il bene comune. Sorge quindi spontanea una domanda: quali sono i mezzi che gli studenti italiani hanno per la conoscenza del sistema politico italiano? Quali sono le linee guida dei futuri dirigenti della nostra società?
Una materia mai esistita
Ad oggi, qui in Italia, Educazione civica come conoscenza scolastica non esiste, non c’è. Né alle scuole elementari, né durante le scuole medie, né alle superiori. Nonostante nei vecchi programmi ministeriali fossero presenti i cosiddetti “studi sociali”, non esiste una vera e propria materia che spieghi, parli, tratti, dell’ordinamento politico, delle istituzioni, delle forme di governo, della Costituzione di questo paese. Basta fare un breve sondaggio: dagli anni sessanta, da quando fu introdotta da Aldo Moro, è sempre stata una materia fantasma, che pochi hanno visto. Non c’è adesso che ne parlo io, non c’è stata in modo efficiente quando i nostri genitori frequentavano la scuola; durante il secondo dopo guerra neanche esisteva, si arrivava a studiare fino alle scuole elementari se si era fortunati.
L’importanza dello studio della Costituzione
La nostra Costituzione fu introdotta dopo un secolo di morti, di italiani morti per unire questo paese durante il Risorgimento, di italiani morti durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. E fu introdotta come spartiacque dell’orrore, dopo il referendum per uno stato repubblicano, dopo la monarchia, dopo la dittatura. Non conosciamo ciò che è nostro, ciò per cui tante persone hanno lottato e atteso, ciò che dovrebbe riguardarci in prima persona, perché parla di noi e a noi. È il precetto della nostra libertà.
L’esempio della Svezia
In una nazione come la Svezia, l’educazione civica, la cosiddetta “Scienze della società”, viene insegnata prima del liceo a tutti e perseguita in molti corsi di studio superiori. I ragazzi imparano a conoscere il sistema politico svedese, e poi entrano in contatto con moltissime associazioni e organizzazioni a livello politico e non (numerosissime quelle sul femminismo), a cui possono decidere di unirsi per condividere obiettivi comuni o discutere e organizzare attività relative ai propri interessi.
La “Buona scuola” nel 2018
Nel 2018, nelle nuove disposizioni ministeriali delle scuole italiane, sono presenti le conoscenze civiche e civili, competenze “trasversali” (riguardanti l’educazione ambientale, alimentare, sanitaria e stradale) che dovrebbero essere “spalmate” nel corso delle varie materie a cui, giustamente, ognuno può dare una libera interpretazione. Perché vuol dire tutto e niente. Se questo è sempre stato l’imprinting, anche il più preparato degli insegnati si troverà in difficoltà davanti alla richiesta di tali competenze. Affacciarsi al funzionamento degli organi di uno Stato come autodidatta è molto difficile, e riguarda soprattutto chi si avvicina a un movimento politico per interesse personale. È come studiare una lingua nuova: una persona che non ha mai studiato il russo, difficilmente riuscirà a capirlo bene studiandolo da solo. Troverà difficoltà perché non ha, nell’immediato, gli strumenti per analizzarlo.
Un gap politico generazionale
Come mai i ragazzi, noi giovani adulti di oggi, abbiamo perso l’interesse per la politica? Perché non la capiamo. Perché ci accontentiamo di vivere nell’ignoranza di questo sistema, e fare questo sforzo non ci interessa. D’altronde, abbiamo già i nostri problemi a cui pensare. D’altronde, siamo figli di uno Stato che non ci ha dato le chiavi di lettura per farlo, e non ce le dà tuttora. La nostra istruzione in materia politica passa attraverso la televisione, i talk show in cui le persone si urlano addosso, le testate giornalistiche condotte dagli intrattenitori di massa, i social network e le fake news. Nulla da togliere a chi svolge solamente il proprio lavoro, ma come può l’impalcatura di uno Stato reggersi sulle spalle di una minoranza che è a conoscenza del funzionamento del sistema, mentre la maggior parte della popolazione ne ha una conoscenza minima o parziale?
La proposta di legge dell’Anci
Fortunatamente, pare che durante quest’estate rovente qualcosa si sia mosso: non solo le infrastrutture, le barche o le polemiche, ma alcuni comuni, tra cui quello di Napoli e quello di Firenze, si stanno attivando per sottoscrivere la la campagna promossa dall’ Anci per introdurre l’educazione alla cittadinanza come materia autonoma a scuola.
Sul sito dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani è possibile consultare la proposta di legge e il modulo per la raccolta di firme che, come recita lo slogan, si propone di rinnovare l’impegno “partendo dai banchi di scuola per formare buoni cittadini”. Nella speranza che, almeno per le generazioni che verranno, possa esserci sin dall’infanzia uno strumento di conoscenza per la convivenza civile che oggi si fatica a raggiungere.
Maria Laura Riccardi