“Ecologist trap”, il grido d’affermazione di una generazione

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I feriti di una rissa in una discoteca che doveva essere un pacifico preludio a una serata di musica dal vivo. L’iconografia di un dito medio, quello della scultura di Cattelan in piazza Borsa nel capoluogo lombardo, imbrattato come rimostranza alla lobby politica e imprenditoriale. Queste due sono alcune delle notizie che hanno invaso i notiziari negli ultimi giorni e potrebbero non essere fatti di cronaca così agli antipodi.

Esiste una sorta di asse equatoriale celato nell’invisibilità di palazzi di cemento che unisce allo stesso modo Chicago, Brixton, Milano e Secondigliano. Allo stesso tempo potrebbe esserci anche una sorta di linguaggio, rabbioso e antisistema, che unisce i giovani attivisti climatici e il contesto di una musica fatta di appropriazione sociale cruda, quello che lega al sottile filo di una ricerca di identificazione generazionale.

I quattro punti cardinali che abbiamo descritto sono quelli in cui nasce la drill, sottogenere della trap music, a sua volta figlio legittimato (o no, a seconda delle ascendenze filosofiche) della cultura rap e hip hop. La drill richiama nella sua stessa etimologia di slang, il suono perpetuo e penetrante di un trapano. Una diramazione che distorce la sofisticazione di genere per diventare nella sua scrittura ancor più violento e nichilista. Il genere trae origine proprio dal disagio sociale vissuto nelle periferie di Chicago per poi conoscerne ascendenza a Brixton, in Inghilterra fino ad arrivare in Italia, dove però le tonalità tra tematiche e sonorità trap e drill sono molto più sfumate. Proprio Milano, in particolare il quartiere Rozzano, e Secondigliano, divengono alcuni degli epicentri di produzione contemporanea del genere oltre che il doppio passaporto del rapper ventitreenne Paky, alias artistico di Vincenzo Mattera.

Dopo alcuni singoli di grande successo su Youtube (tra cui proprio Rozzi, diminutivo del quartiere sopracitato) spopola come esponente trap proprio con l’album d’esordio Salvatore (poi uscito in versione deluxe con Salvatore vive). Paky è uno di quelli mai scesi a mezze misure con un compromesso linguistico o tematico, ha portato avanti la sua visione di rappresentante di una generazione dannata e affamata, inneggiando nei suoi testi il fascino di armi da sparo, di machismo, di codici di strada e evocazione alla fama e al lusso. Una sorta di sfida senza remore al “sistema sopra”, quello dei benpensanti e dei perbenisti, ma anche a gruppi sociali in contrasto con una mentalità distinta. Una sorta di acredine rabbiosa presa forse troppo sul serio. Infatti è stata, appunto, notizia di questi giorni, la rissa scatenatasi nella discoteca Gradisca di Perugia, dove era atteso per un live: diversi scontri a suon di spray al peperoncino, pugni e bastoni che hanno visto il ferimento di oltre dieci persone. Tutto documentato con alcuni video che hanno spopolato su TiK Tok, l’attuale maggior riferimento social della comunicazione digitale Z generation, in cui lo stesso rapper sembrerebbe coinvolto nella concita foga di quegli attimi.

Una nottata da incubo, finita senza ricoveri ma che sinistramente ha evocato la tragica notte dei fatti di Corinaldo, quella della discoteca Lanterna Azzurra e sempre alla vigilia di un live di un artista trap, Sfera Ebbasta (in quel caso assolutamente estraneo ai fatti avvenuti).

Quasi contemporaneamente, nell’agenda mediale delle ultime settimane, si leggono numerose notizie relative alla frangia più “azionsta” degli attivisti del clima, quelli di “Ultima Generazione”. Sbandierati ideologici che hanno deciso di passare dagli slogan ai fatti, azioni eversive e decretate da molti come veri e propri atti vandalici. Violentare i simboli storici e culturali, creare disagio per urlare contro l’inattivismo delle politiche climatiche a livello nazionale e globale.

Tanti i colpi inferti, dalla pittura a Palazzo Madama al blocco stradale sul raccordo romano, dal tentativo di danneggiamento al Seminatore opera di Van Gogh fino all’azione contro il Teatro alla Scala. Prese di posizioni nette e discutibili, anche qui senza compromessi, contro le strategie relative alle politiche energetiche, il carbone fossile o i dati di inquinamento. Rappresentanti di una generazione disposti al martirio mediatico pur di contribuire al cambiamento sociale.

Con la premessa che le due notizie ci raccontano di protagonisti agli antipodi per metodologie d’azione, esigenze tematiche e dibattiti circostanti ma ci troviamo pur sempre a identificarli come appartenenti a una stessa generazione che grida forte il suo disappunto. La musica e la salvaguardia climatica rimangono due temi fondamentali che hanno diritto d’essere e ne stanno dibattendo i giovani su un campo di battaglia che spesso induce a errori di movimento o comprensione, che il mondo si può cambiare anche agitandosi nel più banale e vero degli slogan – quello che va contro la violenza – e che forse richiama all’orecchio adulto maggior ascolto.

 

Claudio Palumbo

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