Le elezioni del 4 marzo scorso hanno regalato molte novità allo scenario politico, ma anche diverse sorprese. È una novità il fatto che abbiano ottenuto la maggior parte dei voti due partiti “populisti”, ed è un’altrettanta sorpresa la loro impossibilità di governare a causa del mancato raggiungimento di una maggioranza parlamentare. È una novità che i suddetti partiti, i “quasi vincitori”, stiano tentando di formare un governo congiunto, il che renderebbe l’Italia il primo laboratorio politico di un governo populista. Ma è altresì una sorpresa scoprire che Movimento 5 Stelle e Lega abbiano ottenuto tale successo grazie ai voti dei giovani.
Sarebbe troppo superficiale derubricare la riflessione etichettandola come mero voto di protesta. Dietro a questa scelta ci deve essere dell’altro, anche perché appare paradossale scoprire che nessuno dei due partiti ha dedicato tematiche importanti alla condizione giovanile. E i giovani, in una paola, cercano una cosa sola: il lavoro.
Il lavoro che non c’è
Con modi e toni diversi, sia Lega che M5S hanno fatto menzione di politiche sul lavoro nei loro programmi elettorali. Eppure, nessuno dei due soggetti politici ha speso un solo punto a favore dei giovani e del tema più preoccupante, ovvero la disoccupazione giovanile.
Il tema del lavoro sembra dirimente nelle agende politiche dei partiti, ma la situazione dei giovani dovrebbe esserlo di più. Del resto, i dati parlano chiaro. Secondo gli ultimi dati Istat a febbraio il tasso di disoccupazione giovanile è rimasto fisso sul 30%, mentre quello nella fascia 25-34 anni al 16%. Calano anche i contratti a tempo indeterminato: dai 301.435 del 2015 si è passati ai 152.486 nel 2017. Proliferano invece i contratti a termine che non fanno altro che alimentare il precariato.
Eppure, nonostante questa vera e propria emergenza, né Lega e nemmeno M5S hanno dedicato tempo e spazio a queste tematiche, riuscendo comunque a catalizzare su di se il voto dei giovani. A dire il vero, le campagne elettorali dei due partiti si sono concentrate su tematiche assai lontane: reddito di cittadinanza, flat tax, legge Fornero e immigrazione hanno monopolizzato i dibattiti.
Il fascino del populismo
Siamo dunque dinanzi a partiti che parlano ai giovani senza però parlare dei giovani. Com’è possibile dunque che queste forze politiche siano riuscite a conquistare un elettorato del quale non si sono minimamente occupate durante la campagna elettorale?
La risposta sta nell’anima dei due partiti che, come abbiamo anticipato poco sopra, è quella del populismo. Questo termine suole indicare un tipo di discorso politico che si concentra più sulla forma che sulla sostanza dei contenuti. Ciò che colloquialmente chiamiamo “qualunquismo” in politica viene declinato in “populismo”. Del resto, affermare “gli immigrati aiutiamoli a casa loro” è un concetto vuoto se non si esplicano i mezzi e le risorse per metterlo in atto, ma incredibilmente efficacie sul piano retorico.
In pratica, ciò che è cambiato nella politica è il linguaggio. Abbandonato il politichese e il burocratese si è passati a un linguaggio molto più schietto, meno edulcorato ma più comprensibile. In questo modo i partiti sono stati capaci di raggiungere non solo porzioni di un elettorato lontano dalla politica perché incapace di capirne i concetti a causa di bassi livelli di istruzione, ma anche di intercettare fette di elettori che non hanno mai dato importanza alla politica perché ritenuta troppo distante dai problemi reali.
L’abbassamento qualitativo del linguaggio politico ha comportato anche un abbassamento qualitativo del voto. Ecco perché i giovani hanno votato Lega e M5S: non per i contenuti, ma per il modo in cui sono stati detti. Ecco allora che, agli occhi e alle orecchie di un disoccupato, le parole magiche “reddito di cittadinanza” suonano benissimo.
Il voto dei giovani ai partiti antisistema
Si stima che i due partiti considerati più “antisistema” abbiano attirato dal 50 al 60% dei consensi fra i giovani. Chi esce sconfitto dalle elezioni sono quei partiti di sinistra un tempo baluardo dei giovani e delle politiche sul lavoro: degli under 24, solo il 3,6% ha dato il suo consenso a Liberi e Uguali, mentre solo il 3,8% è andato a Potere al Popolo.
Stando ai dati di YouTrend il M5S ha incassato il 39,3% dei consensi nella fascia 18-24 anni mentre la Lega il 21,2%. Ma lo scenario non cambia se si passa alla fascia di età 25-34 anni: il M5S assorbe il 39,9% degli elettori mentre la Lega il 15%.
L’ennesimo paradosso arriva dal PD, l’unico partito che si è speso di più per i giovani in campagna elettorale, tanto che nel programma dei dem la parola “giovani” appare ben 30 volte. Eppure questo non è bastato: nella fascia di età 25-34 anni i consensi sono solo del 12,3%. Anche il PD, oltre al fallimento delle politiche renziane, deve pagare l’utilizzo di un modo di fare politica che i giovani hanno considerato “vecchio”.
Il PD non parla terra terra come è capace di fare la Lega e nemmeno punta tutto sulla democrazia diretta digitale tanto cara ai grillini. In più non fa uso di turpiloquio. Piaccia o non piaccia questa è la politica che, al momento, attrae e convince quella fetta di elettorato. Che il PD ne prenda atto.
Nicolò Canazza