L’eccezione al XIII emendamento: la schiavitù legale nelle prigioni americane

Come una scappatoia costituzionale alimenta un'industria da miliardi di dollari

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Negli Stati Uniti la schiavitù è stata abolita nel 1865 dal XIII emendamento. Negli Stati Uniti la schiavitù è permessa ancora oggi dal XIII emendamento. Entrambe le frasi precedenti sono vere, come è possibile? È il cortocircuito della Costituzione americana, che ha deciso di prevedere un’eccezione al XIII emendamento in caso di persone detenute. A oltre 150 anni dalla sua abolizione, il lavoro forzato dei detenuti muove miliardi di dollari ogni anno. C’è un collegamento tra schiavitù e incarcerazioni di massa?

L’eccezione al XIII emendamento permette la schiavitù

Il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America recita:

«La schiavitù o altra forma di costrizione personale non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l’imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura»

È l’articolo che abolì definitivamente la schiavitù nel 1865, pur prevedendo un’eccezione: i condannati per qualche reato potevano, di fatto, essere resi schiavi. L’eccezione al XIII emendamento continua a essere applicata ancora oggi e muove un giro d’affari di almeno 11 miliardi di dollari l’anno.

L’economia degli Stati del Sud, fortemente dipendente dalla forza lavoro degli schiavi, precipitò in seguito all’abolizione. I governi cercarono di mantenere il controllo sugli schiavi liberati promulgando leggi che ne rendessero la vita impossibile, indicate sotto il nome di Black Codes. Una di queste vietava ai neri “il vagabondaggio” criminalizzando la disoccupazione e la mancanza di un luogo in cui vivere. Le persone venivano arrestate in gran numero e tornavano a essere forza lavoro non pagata, nelle stesse posizioni di schiavitù da cui erano appena state liberate, almeno sulla carta.

Incarcerazioni di massa: chi ci guadagna?

Dagli anni ’70 la popolazione carceraria degli Stati Uniti è cresciuta vertiginosamente. È il paese che detiene il più alto numero di prigionieri al mondo e tra i primi per popolazione carceraria in rapporto a quella generale. Su 10 detenuti 7 fanno parte della comunità nera e latina. Una sproporzione che non ha altra spiegazione al di fuori del razzismo sistemico che caratterizza il Paese e all’assenza di politiche sociali che possano prevenire i crimini causati dalla povertà.

A partire dagli anni ’80, per far fronte al gran numero di persone detenute, hanno iniziato a diffondersi prigioni gestite dai privati. Come ogni altra attività del settore privato, il loro scopo è il profitto. Un sistema carcerario così ampio e complesso fa comodo a tanti: 




politici e imprenditori delle zone rurali spingono per la costruzione di nuove carceri come fonte di occupazione; le aziende che appaltano al lavoro carcerario risparmiano miliardi, tanto da essere una fonte di concorrenza sleale per quelle che non lo fanno; tutta la filiera dei servizi per i detenuti e, soprattutto, lo Stato, che risparmia nella gestione giornaliera delle prigioni non dovendo impiegare lavoratori esterni (pagati e tutelati secondo la legge). Insomma, più detenuti, più soldi. Che siano in forma di forza lavoro o di tagli alle spese.

Se il lavoro diventa una punizione

Ci sono quasi 2 milioni di persone detenute negli Stati Uniti. Circa la metà lavora. Una parte del lavoro è interno alle stesse prigioni: pulizie, preparazione dei pasti per gli altri detenuti, servizi vari. Questo fa risparmiare al sistema carcerario circa 9 miliardi all’anno. Si aggiungono i lavori svolti in appalto per aziende esterne che, invece che delocalizzare in paesi in cui la manodopera costa poco, utilizzano il lavoro forzato dei detenuti. Il valore di questi prodotti è di almeno 2 miliardi di dollari ogni anno, ma mancano dati precisi e la cifra potrebbe essere molto più alta.

Le aziende che sfruttano e hanno sfruttato il lavoro dei detenuti sono più di 4 mila. Sono tra le più grandi e produttive e spaziano su ogni settore, con una prevalenza di attività in quello agricolo e dell’allevamento. Piccoli anelli di sfruttamento nelle lunghissime catene del capitalismo corporativo. Va detto che non c’è niente di illegale, è tutto ammesso grazie a quella piccola eccezione al XIII emendamento.

Il lavoro nobilita l’uomo?

I sostenitori del lavoro forzato nelle carceri sostengono che i detenuti debbano ripagare i loro debiti con la società e nel farlo ne ottengono benefici perché imparano un mestiere. Questa prospettiva è cieca davanti alle discriminazioni che gli ex detenuti incontrano quando rilasciati. Trovare un lavoro, con le politiche attuali, non è facile per chi ha una fedina penale macchiata. Per chi invece sostiene il valore punitivo e vendicativo della pena, è bene chiarire la composizione dell’enorme popolazione carceraria statunitense.

La maggior parte dei detenuti è in attesa di processo. Sono incarcerati perché non possono permettersi la cauzione. Solo una minoranza verrà successivamente condannata attraverso un processo. Un gran numero di detenuti, quindi, passa del tempo in prigione da innocente, solo perché economicamente e socialmente svantaggiato. Nelle prigioni federali la maggior parte dei detenuti è accusata di crimini legati alla droga, anche semplice possesso. Solo il 3% è detenuto per omicidio. 

Lavoro in carcere o moderna schiavitù?

Alcuni Stati prevedono un pagamento di pochi centesimi fino a un massimo di qualche dollaro (ben al di sotto del minimo sindacale), altri Stati non forniscono alcun tipo di compenso. La maggior parte di questi spiccioli rientra nelle casse del sistema carcerario attraverso l’acquisto di beni di prima necessità, visite mediche o telefonate alle famiglie (sempre a carico della persona detenuta). I lavoratori detenuti sono esclusi dalle protezioni sindacali, non sono assicurati, non hanno alcun tipo di diritto, nemmeno in caso di grave infortunio o morte sul lavoro. Non possono nemmeno rifiutarsi di lavorare, il lavoro è obbligatorio e parte della pena. Suona proprio come schiavitù.

Lo Stato dell’Alabama è uno di quelli che non paga i lavoratori detenuti nemmeno un centesimo. Nel 2023 i prigionieri, assistiti da associazioni sindacali e per i diritti umani, hanno intentato una causa legale contro lo Stato denunciando le condizioni di schiavitù. Veniva addirittura negata la libertà condizionale pur di non perdere forza lavoro.

La Florida è così affezionata al suo passato schiavista che ne mantiene vive le tradizioni ancora oggi. Lo Stato, infatti, è l’ultimo a permettere l’uso della chain gang, la catena che tiene le persone unite per le caviglie. Lunghe file di detenuti con la tipica divisa a strisce e con le catene alle caviglie possono essere viste mentre puliscono le strade delle assolate città della Florida.

In Louisiana il rispetto delle vecchie tradizioni schiaviste arriva all’apoteosi: i detenuti vengono impiegati nelle piantagioni di cotone, proprio come i loro bisnonni un secolo e mezza fa. Chi prova a rifiutarsi finisce in isolamento o picchiato.

Il sistema carcerario ci riguarda tutti

Anche per chi è solitamente sensibile ai temi dei diritti umani, quello del carcere è sempre un tema difficile. La prospettiva generale è che sia sufficiente non commettere reati per non finirci dentro, in una visione eccessivamente ottimista della realtà. L’idea prevalente è che chi si trova in prigione se lo merita e si merita quindi qualsiasi trattamento punitivo. La rieducazione è di rado contemplata.

Con il proliferare delle idee reazionarie e delle politiche securitarie di estrema destra si rischia un aumento costante della popolazione carceraria in Europa e in Italia, dove il sovraffollamento è già un problema da anni. Il dibattito sulla privatizzazione delle prigioni non è più un tabù, con tutti i rischi che comporta.

Per quanto il caso degli Stati Uniti sia unico al mondo, fornisce spunti preziosi per riflettere sui rischi e sulle vere cause del giustizialismo a ogni costo. Se il carcere fosse davvero un deterrente per i crimini, gli Stati Uniti dovrebbero essere il luogo più sicuro al mondo. La realtà è che le carceri sono luoghi orribili in cui punizioni disumane non servono ad altro che a tirare fuori il peggio dalle persone.

Persone che partono già da condizioni di svantaggio sociale e che vengono punite invece che aiutate. Discendenti di schiavi che si ritrovano schiavi a loro volta oltre un secolo dopo. Per quella piccola eccezione al XIII emendamento, che voleva vietare la schiavitù ma non ci ha creduto abbastanza.

Sara Pierri

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