Earth day 2023: 53 anni dopo cosa è cambiato?

Earth day

22 aprile 1970, la nascita del movimento

Ogni anno, da 53 anni ormai, si celebra l’Earth day, 24 ore in cui (in teoria) si mette al centro il pianeta e la sua salvaguardia. La giornata viene celebrata in 193 Paesi nel mondo con manifestazioni in piazza e (sempre in teoria) un momento di riflessione collettiva. Il primo passo per arrivare alla celebrazione di questa giornata – riconosciuto anche dalle Nazioni Unite – avviene in realtà nel 1962. In quest’anno viene pubblicato un libro che scuote l’opinione pubblica e in particolare, qualche anno dopo, il senatore americano Gaylord Nelson.

Il libro in questione è Silent Spring (Primavera silenziosa) di Rachel Carson (biologa e zoologa americana) che verrà riconosciuto come momento di nascita del movimento ambientalista mondiale. Il titolo fa riferimento al silenzio che caratterizzava i campi in primavera per la mancanza di uccelli canori, causa il troppo utilizzo di fitofarmaci. Questi sono i composti dei primi insetticidi usati in agricoltura e con questa metafora Carson mette in evidenza l’azione umana sulla natura. E i risultati, allora come oggi, erano e sono devastanti.

La reazione di Nelson

Come anticipato, il senatore Gaylord Nelson rimase così colpito dalla realtà mostrata dal testo, che nel 1966 propose una legge per la messa al bando dei fitofarmaci. Il senatore si rese anche conto, però, che una proposta di legge sarebbe stata insufficiente per sensibilizzare l’opinione pubblica e avrebbe quindi dovuto prendere un’altra strada. Capì, infatti, che era necessario coinvolgere la società civile, dal basso, a partire dai movimenti studenteschi. Movimenti che in quegli anni erano già protagonisti di opposizione nei confronti della guerra del Vietnam. L’obiettivo di Nelson era quello di creare un momento di riflessione collettiva per condividere considerazioni e possibili soluzioni riguardo la situazione ambientale. Sempre nel 1966 propose l’istituzione della giornata internazionale della terra, l’Earth day appunto, e nel 1970 venne festeggiata per la prima volta.

Cosa rivendicava l’Earth day

Oltre a obiettivi sociali si rivendicavano azioni “concrete”, come ad esempio una maggior attenzione per la qualità dell’aria. Negli anni ‘80 infatti la quantità di microgrammi di particolati per m3 era pari a 160 microgrammi (oggi sono 60 microgrammi per m3). Il grande merito di Nelson fu (anche e soprattutto) quello di riconoscere il legame tra ambiente e situazione sociale, per due ragioni. Da un punto di vista etico, per cui l’uomo non è egemone della Terra e ha l’obbligo di rispettare le forme di vita che popolano con lui il pianeta. Dall’altra parte, il punto di vista più specificatamente sociale: la cura del pianeta è una lotta legata al benessere (e oggi alla sopravvivenza) della specie umana. Si tratta cioè dell’opposizione ad un sistema economico capitalista che ha effetti quotidiani su chiunque – anche su chi non è parte di questo sistema. Opporsi ad un sistema che rincorre il progresso sfrenato senza curarsi dell’inquinamento che produce e come questo peggiora le condizioni di vita delle persone.

53 anni dopo, a che punto siamo?

Passata forse in sordina per alcuni decenni, la questione ambientale è tornata al centro della discussione pubblica grazie all’azione di disobbedienza civile di Greta Thunberg. Accanto al caso specifico dell’attivista, negli ultimi anni, troviamo numerose iniziative per mettere in evidenza la necessità di prendere sul serio il cambiamento climatico. L’Earth day diventa per questo solo uno dei momenti di aggregazione, accanto a Fridays for future, la manifestazione che negli ultimi anni ha preso spazio settimanalmente nelle più grandi città italiane. Le caratteristiche di eventi del genere sono comuni a quelli che sosteneva Nelson, in particolare il coinvolgimento giovanile e una presa di posizione “dal basso”. La consapevolezza di politiche diverse, che devono essere monito per un approccio etico diverso all’ambiente, vengono infatti dalla società civile. Da persone, non da istituzioni, che scelgono di dedicare il loro tempo e le loro energie alla causa.

Se i Fridays for future sono manifestazioni accolta in maniera generalmente positiva dall’opinione pubblica, non tutti i movimenti che si occupano di ambiente hanno la stessa sorte.

Il caso di Ultima Generazione

Cosa succede se i modi con cui si combatte una causa che ci interessa tutti vengono considerati dalla maggioranza aggressivi? Negli ultimi mesi si sono intensificata le azioni di protesta del gruppo Ultima Generazione, che tramite azioni di disobbedienza civile riportano al centro la questione.

La loro “caratteristica” è semplicemente quella di manifestare, ma quella di intralciare la quotidianità delle persone. Il motivo è tanto semplice quanto geniale: farci rendere conto che la crisi climatica è un’emergenza collettiva e di cui è necessario occuparsi ora. Ignorare i campanelli di allarme che il pianeta sta lanciando significa scegliere coscientemente di vedere le nostre vite stravolte nel giro di qualche decennio. Il surriscaldamento climatico che rende il clima estivo insopportabile ne è un esempio. Come ne è un altro lo scioglimento dei ghiacciai, che con l’aumento dei livelli dei mari metterà a rischio l’esistenza di alcune città (tra cui Venezia). Vi è in gioco quindi la sopravvivenza della popolazione di alcune parti del mondo.

Nonostante le motivazioni siano chiare e condivisibili sembra che una parte dell’opinione pubblica e dei media si concentri solo sul modus operandi. Considerando che gli esperti cercano di attirare l’attenzione sulla necessità di cambiare abitudini (globali) per evitare un punto di non ritorno, la politica appare sorda. Quest’ultima è spesso più interessata a mostrarsi interessata alla questione piuttosto che ad esserlo realmente. I e le ragazze di Ultima Generazione l’hanno capito e per questo scelgono un modo di manifestare che crei più indignazione possibile.

Perché rovinare (temporaneamente) il nostro patrimonio è necessario

La strategia è quella di colpire beni artistici come quadri e palazzi rappresentativi. L’obiettivo è quello di dimostrare che se non agiamo ora le bellezze di cui disponiamo spariranno. Ultima Generazione organizza anche sit-in, ad esempio sulle autostrade e sulle piste di partenza dei jet privati. Se le azioni “contro” le opere d’arte e i sit-in autostrada servono a entrare nella quotidianità di tutti e tutte, con i jet è diverso. In quel caso si punta al gruppo più specifico di coloro che inquinano in maniera esorbitante (per futili motivi).

Insomma, se all’origine l’Earth day significava manifestazioni organizzate e concentrate nel singolo giorno, oggi le cose sono al contempo uguali ma opposte. Rimangono certamente le istanze per cui ci si batte, l’utilizzo di metodi non-violenti e la mobilitazione in particolare di giovani. Dall’altra parte però, l’obiettivo di Ultima Generazione (e dei gruppi che agiscono in questo modo in altre parti del mondo) è quello di mantenere l’attenzione costante sulla crisi ambientale con gesti eclatanti.

 

L’opinione pubblica, invece, come reagisce? Molte e molti dei favorevoli alle manifestazioni dei Fridays for future spesso sono le/gli stessi che criticano i modi di Ultima Generazione. Un comportamento ipocrita, considerando l’uguaglianza degli obiettivi, perché ci si concentra sulle conseguenze che quella singola azione ha su di noi e non del male che noi causiamo al pianeta.

Alice Migliavacca

Exit mobile version