La guerra civile in Sudan sta mettendo in ginocchio il Paese. Il generale Abdel Fattah al-Burhan e il suo vice Mohamed Hamdan Dagalo sono in lotta per conquistare il potere. Gli scontri, iniziati sabato 15 aprile, stanno seminando morte e distruzione nella capitale Khartum come in numerose altre città.
È scoppiata una guerra civile in Sudan dopo mesi di tensioni tra il generale Abdel Fattah al-Burhan, di fatto il presidente del Paese, e il suo vice Mohamed Hamdan Dagalo. Al-Burhan vorrebbe assorbire nelle forze armate sudanesi, di cui è a capo, i paramilitari che rispondono ai comandi di Dagalo, le Forze di supporto rapido (Rfs). Questo con l’obbiettivo di andare a costituire un unico corpo militare.
Dagalo non è d’accordo e le tensioni tra i due sono sfociate in scontri armati iniziati il 15 aprile, con conseguente escalation militare.
Le cause della guerra civile in Sudan
Per una più accurata comprensione delle motivazioni che hanno portato all’attuale guerra civile in Sudan bisogna tornare al 2019, quando il dittatore sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashir fu deposto dal potere con un colpo di Stato. La deposizione avvenne per mano di al-Burhan e Dagalo che, alleati, instaurarono un Governo temporaneo con l’obiettivo di avviare un processo di democratizzazione del Paese.
Nell’ottobre 2021 rovesciarono insieme il Governo temporaneo tramite un secondo colpo di Stato e diedero vita all’alleanza militare del Consiglio Sovrano, interrompendo l’instaurazione di istituzioni democratiche.
Alla fine del 2022 gli attriti tra i due arrivarono al loro culmine a causa di un piano sostenuto a livello internazionale per riprendere il processo di democratizzazione. Tale piano prevedeva l’assorbimento delle Forze di supporto rapido all’interno dell’esercito regolare sudanese. Una volta uniti questi due corpi militari in un unico esercito, la sua supervisione sarebbe spettata al futuro governo democratico.
Il piano di accorpamento doveva essere concluso in un periodo massimo di due anni. Dagalo non fu mai d’accordo, temendo di vedere il suo potere affievolirsi in maniera importante. Quest’ultimo propose di ultimare tale accorpamento in un periodo di circa dieci anni, ma le parti civili si opposero.
Da qui, le tensioni tra i due arrivarono al loro apice. Quando sono scoppiati i primi scontri armati, le due fazioni si accusarono reciprocamente di aver fatto scoppiare le violenze, arrivando ad un’escalation militare.
La situazione attuale
Gli scontri in Sudan non accennano a fermarsi. Da sabato 15 aprile, giorno di inizio degli scontri armati, i morti registrati sono arrivati quasi a quota 200 mentre i feriti sarebbero più di 1.800.
Dopo solo pochi giorni di guerriglia nella capitale del Paese, Khartum, la popolazione è allo stremo. Mancano acqua potabile ed elettricità. Continuano ad avvenire bombardamenti aerei e lanci di missili nel centro città che non risparmiano neanche gli edifici civili. Anche le strutture sanitarie sono sotto attacco: i due principali ospedali della capitale sono stati evacuati dopo essere stati colpiti da diversi razzi. I medici continuano a denunciare la drammaticità della situazione, sostenendo che i combattenti impediscono loro di soccorrere i feriti.
Nel secondo giorno di scontri sono state sospese anche le trasmissioni televisive in seguito alla presa di controllo da parte delle Forze di supporto rapido dell’edificio della televisione di Stato. L’esercito regolare sarebbe riuscito però a riprenderne il possesso, facendo riprendere le trasmissioni e mandando in onda programmi a suo sostegno.
Sempre nella capitale, ci sono stati due attacchi rivolti a diplomatici stranieri. Il primo contro un convoglio diplomatico statunitense. Il secondo contro un diplomatico europeo, avvenuto all’interno della sua residenza.
Le Forze di supporto rapido hanno annunciato tramite piattaforme social un cessate il fuoco di 24 ore per consentire l’evacuazione dei civili e dei feriti. Tuttavia, l’esercito regolare del Sudan ha negato di essere a conoscenza della tregua. Le continue affermazioni o rivendicazioni sostenute da una parte continuano ad essere negate dall’altra. Questo non permette di inquadrare bene la situazione in atto o quale delle due fazioni abbia il vantaggio sull’altra. Il quadro generale rimane pertanto fortemente incerto.
Gli appelli internazionali
Nel weekend i ministri degli Esteri del G7 si sono riuniti a Sapporo, in Giappone. In una dichiarazione congiunta hanno spronato le due fazioni in lotta in Sudan a porre fine alle ostilità:
Chiediamo a tutti gli attori di rinunciare alla violenza, tornare ai negoziati e adottare misure efficaci per ridurre le tensioni e garantire la sicurezza di tutti i civili, compreso il personale diplomatico e umanitario.
Diversi organismi internazionali, tra cui l’Unione Europea, l’Unione africana e la Lega Araba, hanno espresso la loro preoccupazione e chiesto un cessate il fuoco. A questi appelli si sono unite anche le Nazioni Unite.
Anche la Russia ha chiesto di porre fine agli scontri armati e si pensa possa essere maggiormente ascoltata in quanto coinvolta direttamente negli affari sudanesi. Infatti, il Cremlino ha intrattenuto diversi rapporti con al-Burhan e Dagalo nel corso degli anni e in Sudan un importante centro di potere è rappresentato dal gruppo Wagner, mercenari collegati al Ministero della difesa russo operanti anche nella guerra in Ucraina.