Due sportivi nigeriani finiscono per errore in un campo profughi bosniaco

Niger ha revocato la legge sulla migrazione Sportivi nigeriani finiscono per errore in un campo profughi bosniaco

Due sportivi nigeriani affermano di essere stati deportati in un campo profughi bosniaco dalla polizia croata mentre si trovavano a Pula per partecipare al campionato mondiale interuniversitario di ping-pong

Il 12  novembre Abia Uchenna Alexandro e Eboh Kenneth Chinedu sono entrati legalmente in Croazia per partecipare al quinto campionato mondiale interuniversitario di ping-pong, che quest’anno si è svolto a Pula. Finito il torneo i due sportivi sono tornati a Zagabria per prendere il volo di ritorno per la Nigeria, fissato per il 18 novembre. Il giorno prima della partenza raccontano però di essere stati fermati da due poliziotti mentre passeggiavano per le strade della capitale, di essere stati caricati in un furgone e portati al confine con la Bosnia-Erzegovina. A questo punto sostengono di essere stati costretti ad attraversare i boschi bosniaci insieme ad un gruppo di migranti, arrestati dalla polizia mentre tentavano di entrare illegalmente in Croazia. Il gruppo è alla fine arrivato in un campo a Velika Kladuša, vicino a a Bihać, affollato da migliaia di persone sistemate in tende senza acqua né riscaldamento (nella regione le temperature raggiungono i -2 ℃ durante il periodo invernale).

I due sportivi nigeriani sono riusciti a sciogliere l’equivoco solo a fine novembre e solo allora i volontari del campo hanno avvertito i rappresentanti della competizione sportiva. 

 

L’intera vicenda è stata denunciata dalla testata bosniaca online Žurnal ed è proprio nella video intervista rilasciata al giornale che i due ragazzi hanno raccontato increduli la breve odissea che li ha portati a finire in un campo profughi. Tutto è iniziato a Zagabria:

“Mentre salivamo su un tram ci hanno fermati dei poliziotti. […] Abbiamo provato a spiegare loro chi siamo e che i documenti e il visto li avevamo all’ostello. Ma non ci hanno ascoltati” ha affermato Eboh Kenneth Chinedu. In seguito “Due poliziotti ci hanno detto che saremmo andati in Bosnia. […] Dopo un po’ il furgone si è fermato e ci hanno buttati fuori. Io non volevo andare nel bosco, ma il poliziotto ha minacciato di spararmi se non mi fossi mosso”. 

La testata online Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa ha parlato anche con Alberto Tanghetti, uno dei membri dell’Interuniversities Sport Committee, l’ente organizzatore del campionato. Tanghetti ha subito confermato l’identità dei due sportivi nigeriani e ha precisato che:

 “Al loro arrivo in aereo, con passaporto e regolare visto rilasciato dall’Ambasciata croata su invito dell’Università di Pula, sono stato contatto dalla polizia di Zagabria che mi ha chiesto conferma dei motivi del loro ingresso. Arrivati a Pola hanno partecipato alla cerimonia di apertura della quinta edizione del campionato interuniversitario […] e hanno poi gareggiato, come dimostrano anche i video delle gare”. Tanghetti ha ribadito inoltre che il volo di ritorno per Lagos da Zagabria era fissato per il 18 novembre ma che la professoressa che li ha accompagnati “Li ha aspettati in aeroporto ma non sono mai arrivati”. 

Secondo altri due media bosniaci, N1 e Vijesti, Abi Uchenna Alexandro e Eboh Kenneth Chinedu si troverebbero nel campo di accoglienza Miral, gestito dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM). Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa ha chiesto un’ulteriore conferma a Nicola Bay del Danish Refugee Council, che si trova a Sarajevo dal 2018 a causa del ri-intensificarsi della rotta balcanica. Bay ha confermato la presenza dei due sportivi nigeriani nel campo di Miral e ha aggiunto che i volontari dell’organizzazione hanno anche provveduto a offrire loro un supporto psicosociale. Tuttavia, secondo Bay, solo IOM e UNHCR possono occuparsi dell’aspetto legale della faccenda.

Il 4 dicembre è arrivata anche la replica delle autorità croate tramite un comunicato ufficiale emesso dal Ministero degli Interni:

“I due studenti citati dai media bosniaci, dopo aver partecipato al torneo a Pola, un giorno prima del resto del gruppo si sono spostati a Zagabria dove hanno soggiornato. Il 16 novembre si sono registrati all’ostello, dal quale il 18 novembre dopo aver pagato il soggiorno e aver preso documenti e il resto delle proprie cose si sono allontanati verso un luogo ignoto”.

Le autorità croate negano di aver avuto a che fare in alcun modo con Abi Uchenna Alexandro e Eboh Kenneth Chinedu ed evidenziano che dei cinque sportivi nigeriani che hanno partecipato al campionato solo due hanno poi ripreso l’aereo per tornare a casa. Secondo la polizia infatti, un terzo studente ha provato, senza riuscirci, a passare il confine con la Slovenia. A questo punto si è presentato presso il Commissariato di Zagabria per richiedere un foglio di via della durata di 14 giorni affermando di aver smarrito i documenti; il 28 novembre ha infine presentato una richiesta di asilo. Il Ministero degli Interni sostiene in definitiva che i tre studenti hanno scelto volontariamente di imboccare la strada dell’illegalità e solleva di conseguenza il dubbio sulle effettive ragioni del loro soggiorno in Croazia.

Le due versioni appaiono fortemente contrastanti e non resta che rimanere in attesa di ulteriori indagini su quanto realmente accaduto. Non c’è dubbio tuttavia che nel caso in cui si voglia credere alla versione fornita dalle autorità croate rimanga incomprensibile il motivo per cui i due studenti, che in quanto nigeriani avrebbero avuto la possibilità di chiedere asilo in Croazia, siano finiti in Bosnia-Erzegovina. A questo quesito ha tentato di rispondere in modo convincente Dubravko Jagić, il rappresentante del sindacato della polizia, all’emittente bosniaca N1:

“Che siano stati vittime di trafficanti, non posso dirlo. Nego tuttavia che la polizia faccia queste cose, cioè di prendere qualcuno, arrestarlo e portarlo in Bosnia da Zagabria”.  

Se questo punto continua a restare un mistero, quello che appare certamente impossibile è che i due sportivi nigeriani siano finiti volontariamente in un campo profughi nel bel mezzo dei boschi bosniaci. 

 

Silvia Cossu
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