La diversità ormai è ideologia consumata al cinema e alle serie tv. La maggior parte delle produzioni, indipendenti o statali che siano, non sembra immune alla politica reiterata e foraggiata così tanto dai media di oggi.
Il film di Sou Abadi mescola molti elementi e riferimenti politici per creare una trama appesantita dalle idee ma con il ritmo della farsa francese. Frizzante nel ritmo, Due sotto il burqa racconta di Armand (Félix Moati) e Leila (Camelia Jordana), innamorati giovani, pronti per lavorare all’ONU in un tirocinio molto sognato.
Il ritorno del fratello di lei però distrugge i piani: Mahmoud (William Lebdghil) infatti ha incontrato durante un suo soggiorno in Yemen esponenti dei Fratelli Musulmani e ha abbracciato l’estremismo.
Chiude Leila in casa ma Armand escogita uno stratagemma per incontrarla a casa: fingersi donna e musulmana per giunta, per ingannare il terzo incomodo.
Ma l’astinenza fa brutti scherzi: il talebano casalingo s’innamora della nuova ospite non vedendone in realtà altro che gli occhi coperta com’è dallo chador.
Mettiamoci anche il fatto che Armand è figlio di pedanti dissidenti iraniani ostili allo sciitismo imperante nella Repubblica iraniana e la salsa si fa effervescente.
Il ritmo è agile con la base di uno stile collaudato: non punta alla novità quanto all’utilizzo della struttura comica. Attorno ai protagonisti ruota un microcosmo di profughi, femministe, radica chic, manifesti ed idee coscienti della propria ideologia.
Armand mascherato tenta di far aprire Mahmoud alla diversità e al rispetto secondo una versione edulcorata dell’Islam, limata dall’ironia e da un approccio di totale rispetto verso il mondo esterno. Idealista e certo speranzoso, il messaggio del regista non brilla quanto la sua foga e la capacità di ricreare l’assurdo delle situazioni con intelligenza che manca a molti altri suoi colleghi.
Antonio Canzoniere